«Fate questo in memoria di me»
La liturgia della Chiesa del Signore
Lc 22,14-20
Stiamo leggendo in queste Veglie giubilari che ho il piacere di condividere con i sacerdoti e le comunità delle zone pastorali il Vangelo secondo Luca e stiamo meditando sui testi in cui si parla della Chiesa. Lo facciamo lasciandoci ispirare dalla frase che abbiamo scelto per questo percorso di discernimento ecclesiale: “Siamo la Chiesa del Signore, vogliamo essere tessitori di speranza”. Abbiamo la grazia di meditare su un testo straordinariamente importante. È il brano in cui si racconta l’ultima cena del Signore, con l’istituzione dell’Eucaristia. L’eucaristia! Il cuore pulsante della Chiesa, l’azione liturgica per eccellenza, il dono più prezioso che il Signore ha lasciato in eredità alla sua Chiesa per il tempo del suo pellegrinaggio terreno. Poter ascoltare il racconto del momento in cui tutto questo ebbe inizio ci rende felici. Potremo meglio comprendere il senso e il valore di ciò che celebriamo nelle nostre comunità cristiane, fedeli al comando del Signore. Ritorniamo dunque a leggere insieme e a meditare il brano del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato. Per comprenderne pienamente il significato, è tuttavia necessario fare un passo indietro e ricostruirne il contesto.
Siamo verso la fine della vita del Signore. Dopo il tempo del suo ministero nella regione della Galilea, egli sale per l’ultima volta a Gerusalemme in occasione della festa giudaica della Pasqua. È pienamente consapevole di ciò che qui gli accadrà. Ne ha parlato più volte ai suoi discepoli. L’ultimo annuncio dato a loro suonava così: “Ecco, noi andiamo a Gerusalemme, e tutto ciò che fu scritto dai profeti riguardo al Figlio dell’uomo si compirà. Sarà consegnato ai pagani, schernito, oltraggiato, coperto di sputi e, dopo averlo flagellato, lo uccideranno e il terzo giorno risorgerà” (Lc 18,31-33). Impressiona la schiettezza di Gesù e la chiarezza di queste parole. Fanno ben capire che si sta incamminando verso la sua glorificazione, ma che dovrà affrontare una sofferenza tremenda e umiliante. I suoi discepoli, probabilmente spaventati, non capiscono e non chiedono precisazioni. Giunto alle porte di Gerusalemme, Gesù è acclamato Messia da quanti lo accompagnano, ma – ci racconta l’evangelista Luca – mentre scende dal Monte degli Ulivi, quando può abbracciare con lo sguardo l’intera città, si commuove e piange su di essa. Pensando a quanto sta per accadergli dice: “Non hai riconosciuto il tempo in cui sei stata visitata” (Lc 19,44). A pochi giorni dalla festa di Pasqua, i capi dei sacerdoti e degli Scribi, cioè le autorità di Gerusalemme, stanno cercando il modo di intervenire su Gesù. Hanno saputo del suo arrivo in città. Alla gelosia e all’odio nei suoi confronti si è aggiunto il timore per le conseguenze politiche del suo insegnamento. Il grande consenso del popolo ne ha fatto un soggetto pericoloso. Da qui la decisione: è bene che muoia! Si tratta ora di organizzare tutto in modo tale che avvenga prima della Festa di Pasqua e senza provocare la reazione del popolo. Il compito non è facile. Sarà Giuda ad offrire loro una inattesa opportunità. Intanto, per Gesù e per i suoi discepoli, è tempo di preparare la cena prevista per la festa di Pasqua. Il nome della festa – Pasqua – era lo stesso con il quale si indicava il banchetto che ogni famiglia era tenuta imbandire la sera precedente la festa, banchetto nel quale si mangiava l’agnello con i pani azzimi e le erbe amare. Si ricordava in questo modo la liberazione dei figli di Israele dalla schiavitù dell’Egitto, avvenuta ai tempi di Mosè: era per la fede ebraica l’evento fondamentale. Gesù manda, dunque, due dei suoi discepoli in città e dà loro indicazioni molto precise circa il luogo in cui ritrovarsi per la cena (Lc 22,7-13). Da queste indicazioni essi ricavano chiaramente che da tempo il Maestro ha organizzato tutto con molta cura.
Giungiamo così al nostro brano. L’evangelista scrive: “Quando venne l’ora, Gesù prese posto a tavola e gli apostoli con lui”. Inizia la cena pasquale. Gesù ha voluto con sé solo gli apostoli, quei Dodici che si è scelto e che sono sempre stati con lui. Sono i suoi amici. Egli sa che uno di loro ha in cuore di tradirlo, ma non gli impedisce di sedersi insieme agli altri. La prima parola che Gesù pronuncia fa capire quanto questa cena gli stia a cuore. Egli dice: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione”. È dunque una cena pasquale attesa da tempo e per questo è stata da lui accuratamente preparata. È attesa perché è l’ultima che Gesù farà con i suoi discepoli, dal momento che incombe la sua passione. La vita terrena di Gesù sta per concludersi in modo drammatico. Di lì a poco essi lo vedranno morire straziato sulla croce, sconvolti dal dolore e dallo spavento. Si può ben immaginare che egli senta il bisogno di prepararli a quanto sta per accadere. Ed ecco allora che egli pronuncia queste parole: “Io vi dico: non mangerò più questa pasqua, finché essa non si compia nel Regno di Dio”. Si tratta di una dichiarazione molto importante, che suona come un invito a guardare oltre la sua morte, verso un evento futuro che darà compimento a ciò che la cena pasquale rappresenta. È come se Gesù desse loro un appuntamento e dicesse: “Non temete per quello che vedrete e che mi accadrà. Noi ci rivedremo e questo avverrà quando insieme faremo esperienza di ciò che questa cena pasquale significa, vale a dire la piena liberazione dell’umanità dalla sua oscura schiavitù. Quel che è avvenuto ad Israele in Egitto è solo il segno della redenzione universale che un giorno si compirà, quando verrà il Regno di Dio, cioè quando la sovranità di Dio si manifesterà in tutta la sua potenza. Ciò che Gesù non dice ma lascia intendere, è che questa manifestazione del Regno di Dio avverrà grazie a lui. La sua morte dunque, quella che tra poco gli apostoli vedranno, non sarà la sua fine ma – per la potenza della sua risurrezione – sarà per lui l’inizio di una vita nuova, condivisa con tutti i suoi discepoli. “Guardate avanti con fiducia” – sembra dire loro il Signore – “ed entrate nei grandi orizzonti della salvezza che io sto per inaugurare”. Lo stesso viene affermato a partire dal calice, che Gesù offre ai discepoli. Scrive Luca: “E, ricevuto un calice, egli rese grazie e disse: ‘Prendetelo e fatelo passare tra voi, perché io vi dico: da questo momento non berrò più del frutto della vite, finché non verrà il Regno di Dio’. Come se Gesù dicesse: “La gioia di cui il vino è segno, sarà ciò che gusteremo insieme, quando la potenza regale di Dio si manifesterà in tutto il suo splendore”.
Si apre dunque per i discepoli del Signore un tempo di attesa: il Signore ritornerà come Redentore e quanti avranno creduto in lui entreranno nella sua gloria. Ma cosa succederà in questo tempo di attesa? I discepoli rimarranno soli? Non godranno più della presenza del Signore fino al giorno del suo ritorno? Proprio qui interviene il grande dono che Gesù fa ai suoi apostoli durante l’ultima cena, cioè l’Eucaristia. Scrive Luca: “Poi prese il pane, rese grazie, lo spezzò e lo diede loro dicendo: “Questo è il mio corpo, che è dato per voi; fate questo in memoria di me”. Dopo aver cenato fece lo stesso con il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue, che è versato per voi”.
Ricordo. Nell’ultimo incontro con i Dodici, durante la sua ultima cena pasquale, Gesù lascia ai suoi discepoli il suo ricordo. Dice infatti: “Fate questo in memoria di me”. Qual è dunque il suo ricordo? Che cosa lascia loro? Dovremo supporre che si tratti di qualcosa di molto prezioso. Si lascia forse in ricordo a qualcuno che si ama qualcosa che è di poco valore? Non si penserà forse alla cosa più preziosa che si possiede? È così anche per Gesù: egli lascia in ricordo ai suoi discepoli il suo corpo e il suo sangue nel segno del pane e del vino; lascia il suo corpo donato e il suo sangue versato. Ecco il suo memoriale, che noi oggi chiamiamo l’Eucaristia e che celebriamo con profonda gratitudine. Il suo corpo donato e il suo sangue versato sono l’offerta della sua vita consegnata nelle mani degli uomini attraverso il suo corpo. Ciò che gli uomini faranno del corpo del Signore lo si capirà bene durante la sua passione. Quel corpo sarà ricoperto del suo sangue, a causa della malvagità dei cuori umani feriti dal peccato. Nelle parole dell’ultima cena e nel dono del pane e del vino Gesù sta dunque anticipando la sua morte in croce. Egli annuncia ai suoi discepoli che si farà carico del male del mondo. Ma nell’espressione il mio corpo dato per voi e il mio sangue versato per voi c’è qualcosa di molto più importante: c’è l’intenzionalità d’amore che ispira la passione. Il Signore sa che questa sua offerta introdurrà i suoi amici e tutta l’umanità nella sua stessa vita, attraverso una comunione con lui che continuerà nel tempo e che raggiungerà il suo vertice quando verrà il Regno di Dio.
In questo pane e vino che sono il corpo dato e il sangue versato dal Signore, c’è tutto il suo amore per l’umanità bisognosa di salvezza. Egli è consapevole che con la sua morte sulla croce, accettata per amore, si compirà per i suoi discepoli e per tutti la volontà del Padre e l’umanità sarà riconciliata.
Si verrà a costituire con tutti coloro che crederanno in lui un legame nuovo e perenne, perché, ricevendo il corpo e il sangue del Signore nel pane e nel vino della santa Eucaristia, sarà possibile divenire con lui una cosa sola e così vivere di lui e in lui. Questa comunione misteriosa che perdura nel tempo attraverso la celebrazione liturgica della Chiesa costituisce il segreto ultimo dell’Eucaristia. Tra i credenti e il loro Signore è sorta una comunione che attraversa i tempi e mai verrà meno, in attesa del suo ritorno glorioso. Questo accade con l’Eucaristia che il Signore ci ha lasciato come suo memoriale. Essa si pone al cuore della Chiesa e ne è diventata la viva sorgente. Essa è l’atto liturgico per eccellenza, l’offerta più preziosa che possiamo presentare al Padre. Essa è l’anima della nostra carità, che è comunione fraterna e umile servizio a favore di ogni uomo. Essa è il vero nutrimento dell’anima, che dona alla vita tutto il suo valore e tutta la sua bellezza. Di questo pane santo ci nutriamo tutti noi che siamo la Chiesa del Signore e da cui attingiamo la forza della nostra testimonianza. La nostra speranza poggia su queste parole del Signore: “Io sono il pane della vita, chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!”. Noi crediamo in te, Signore, ma tu accresci la nostra fede, perché si mantenga viva la nostra speranza.
+ Pierantonio Tremolada
