Le origini del cristianesimo a Brescia sono ancora avvolte nell’oscurità, a causa della penuria di documentazione affidabile. Mancano notizie precise anche a riguardo dei primi vescovi della sede bresciana, quasi certamente una filiazione di quella milanese tra la fine del III e l’inizio del IV secolo. Il primo vescovo di cui si possieda un riferimento storico preciso è Ursicino, di cui è attestata la partecipazione al concilio di Serdica del 343.
L’evangelizzazione non dev’essere tuttavia stata né facile né rapida.
Una documentazione più ampia ci viene in soccorso tramite le omelie del vescovo Gaudenzio, vissuto a cavallo tra il IV ed il V secolo. Da esse veniamo a sapere di una cristianizzazione ormai bene avviata, come pure di una certa persistenza del paganesimo. Il cristianesimo bresciano delle origini non sembra essere stato l’oggetto di particolari persecuzioni, in ragione, forse, della sua composizione sociale; appare, invece, particolarmente vivace nella realizzazione di opere caritative, come risulta da molti elementi di carattere archeologico e toponomastico.
Per il periodo della dominazione gotica e gli inizi di quella longobardica (VIVII secolo) dobbiamo registrare una serie di turbolenze in tutta l’area del cristianesimo dell’Italia settentrionale con lo scisma dei Tre Capitoli, cui aderì anche il vescovo di Brescia. La seconda metà del VII secolo vide aumentare il processo di integrazione tra i dominatori longobardi, ormai avviati alla conversione definitiva al cristianesimo, e le istituzioni ecclesiastiche locali.
Tale sviluppo trovò la sua manifestazione più eloquente nella fondazione di due monasteri, l’uno, quello femminile di S. Salvatore (762) in città, l’altro, quello maschile di Leno (758), in provincia, destinati a diventare imprescindibili punti di riferimento per la storia bresciana, e non solo quella ecclesiastica. Entrambi i cenobi vennero istituiti dal re longobardo Desiderio.
Nel periodo franco-carolingio (VIII-IX secolo) la Chiesa bresciana assiste, come segno della propria accresciuta importanza nella complessa rete di attività politiche, economiche ed istituzionali, ad un incremento progressivo del prestigio dei propri vescovi, tra i quali eccelle Ramperto (824-844), ricordato per il suo fervoroso zelo pastorale e riformatore. Una delle sue opere più significative rimane l’edificazione del monastero di S. Faustino, ben presto rinomatissimo centro di cultura.
Le turbolente vicende che, verso la fine del IX secolo, determinarono la dissoluzione dell’impero dei carolingi non potevano non ripercuotersi negativamente nei confronti di una diocesi, come quella bresciana, molto legata a questa dinastia. In tempi di forte particolarismo feudale, tuttavia, la struttura ecclesiastica, con la sua fitta rete di pievi, diaconie ed istituzioni caritative, rimase l’unico punto di riferimento certo ed il motore di una animazione religiosa e civile destinata a più consistenti sviluppi.
Il secolo X, il cosiddetto “secolo oscuro” nella storia della Chiesa, presenta grandi traversie e difficoltà anche per la nostra Chiesa locale, coinvolta nella politica espansionistica di Berengario d’Ivrea e, più in generale, nel grande processo di feudalizzazione che coinvolgeva il cristianesimo occidentale. Si rendeva per questo necessario un progetto di riforma che tendesse a rafforzare l’autorità vescovile all’interno della diocesi, soprattutto nei confronti dei grandi monasteri, che godevano del privilegio dell’esenzione. Un’altra direttrice del-l’azione riformista dei vescovi bresciani della prima metà dell’XI secolo pare essere stata quella della disciplina della vita canonicale, istituzione che in quel tempo conosceva una fioritura mai più eguagliata.
Nella seconda metà dell’XI secolo la diocesi vive in maniera piuttosto intensa il coinvolgimento nelle questioni di vitale interesse per la Chiesa intera. Brescia assiste da protagonista agli eventi decisivi come la riforma, popolare e monastica, e lo scontro tra papato ed impero. La tradizione filo-papale dei grandi monasteri, Leno soprattutto, ma anche il rinnovamento spirituale legato al monachesimo cluniacense che, soprattutto in pianura e nella Franciacorta aveva conosciuto particolare fervore, fecero scaturire un momento di particolare tensione nel 1086, quando Enrico IV fece eleggere un vescovo a lui fedele, Oberto, cui venne contrapposto dal partito fedele a Gregorio VII il vescovo Arimanno. La vittoria di quest’ultimo gli permise di proseguire la sua politica riformatrice, con una particolare attenzione alla disciplina del clero.
Ma fu proprio la corruzione del mondo ecclesiastico, evidentemente un problema dalla soluzione alquanto ardua, a costituire l’ambiente vitale che favorì il sorgere della protesta di Arnaldo, che ebbe grande seguito in città, visti i notevoli precedenti del movimento patarinico. Anche dopo la sua cacciata da Brescia, la città fu ancora sconvolta da violente lotte, fin verso la metà del XII secolo.
È a partire da questo momento che assistiamo ad un profondo mutamento di tempi e situazioni: è il passaggio dall’età feudale a quella comunale, che vede l’attivo inserimento del vescovo di Brescia, a fianco del Comune, nelle lotte che li opposero a lungo all’imperatore Barbarossa ed ai suoi alleati. Il bilancio di queste vicende se, dal punto di vista politico, può essere abbastanza soddisfacente, presenta forti elementi di preoccupazione dal punto di vista religioso, come la crisi degli inizi del XIII secolo sembra evidenziare.
Il patrimonio vescovile e capitolare è in rovina; le grandi fondazioni benedettine e cluniacensi stanno per entrare in quel periodo di decadenza dal quale non si risolleveranno più; la presenza dell’eresia, soprattutto quella dei Catari, sembra farsi sempre più minacciosa all’interno della città. Fu l’arrivo dei Francescani e dei Domenicani, richiesti ed appoggiati dal Comune, a ridare nuovo impulso alla vita religiosa. La loro attività pastorale, alla quale si unirono in seguito Agostiniani e Carmelitani, si svolse secondo le due principali direttrici della lotta all’eresia e della catechesi al popolo: iniziativa, quest’ultima, che condusse alla formazione delle prime congregazioni laicali.
Figura eminente dell’episcopato bresciano della fine del XIII secolo fu Berardo Maggi (1275-1308), che cercò di recuperare il ruolo di equilibrata centralità della figura vescovile, conferendo ordine all’amministrazione e dando nuovi impulsi all’attività pastorale. Con lui il vescovo divenne il perno non solo della vita religiosa ma anche di quella civile, al punto che, dal 1298 fino alla sua morte, fu scelto come Signore di Brescia, carica che contribuì ad incrementare ulteriormente il suo prestigio e la sua autorità.
Se le vicende politiche di Brescia nel XIV secolo furono piuttosto tormentate, come tormentate lo furono in quel tempo quelle dell’Italia intera, la ricerca storica locale ha invece evidenziato, in questo periodo, una certa vivacità della vita religiosa, contrassegnata dal fiorire delle confraternite laicali, soprattutto a carattere caritativo e penitenziale. Principali e meritorie attività di queste istituzioni furono la fondazione e la conduzione di ospedali e luoghi di assistenza, che culminarono, tra alterne vicende, nella costruzione dell’Ospedale Maggiore, approvata dal Consiglio Comunale cittadino nel 1429.
La dominazione veneta, dal 1426 al 1797, conferisce alla storia della Chiesa bresciana una certa omogeneità. Basti osservare, ad esempio, come, in questo periodo, i vescovi di Brescia (ad eccezione del Duranti nel 1551) vennero imposti dalla Dominante, sempre particolarmente attenta, soprattutto dal XVI secolo, ad aumentare le sue prerogative giurisdizionali. Nonostante la presenza di vescovi di notevole levatura, come Pietro del Monte (1442-1457) e Domenico dè Dominici (1464-1478) la vita religiosa nella diocesi procede verso un inarrestabile degrado, motivato sia dall’assorbimento di uno stile di vita di stampo rinascimentale, come anche dall’incapacità del centro della Chiesa ad imporre quella reformatio in capite et in membris tanto attesa da certuni quanto temuta da altri. L’effetto negativo non mancò di manifestarsi in una religiosità popolare incline alla superstizione ed alla magia, dovuta all’assenza di una sistematica opera di formazione da parte di un clero notevolmente ignorante e corrotto.
I primi decenni del Cinquecento vedono, da una parte, l’apparire dei primi cenni di adesione all’eresia protestante, soprattutto nelle vallate camune e triumpline, come anche il formarsi di quei nuclei che danno il primo impulso alla Riforma Cattolica, tra i quali menzioniamo, in modo particolare, la geniale intuizione di Angela Merici e, più tardivamente, la luminosa figura di Alessandro Luzzago.
Due vescovi meritano, inoltre, una speciale considerazione: Durante Duranti e Domenico Bollani. Il primo (1551-1558) è colui che mette la diocesi sulla strada della riforma; il secondo (1559-1579) è il grande protagonista di una prima applicazione del Concilio di Trento. Il Bollani proveniva da un’eccellente preparazione politica e diplomatica e trovò efficace sintonia d’intenti con un altro protagonista della storia ecclesiastica di quegli anni, Carlo Borromeo. Troppo note sono le sue attività riformatrici, tra le quali ricordiamo almeno le visite pastorali e la fondazione del Seminario (1568), perché trovino in questa succinta esposizione lo spazio che meritano. Il Bollani rimane, nondimeno, al cuore del Cinquecento religioso bresciano.
Il Seicento, nella storia religiosa bresciana, risente delle grandi crisi, a respiro europeo, di questo secolo, da quelle economiche a quelle naturali (si pensi alle ricorrenti pestilenze e carestie). La vicenda dell’interdetto di Paolo V su Venezia ebbe notevoli ripercussioni anche nella diocesi bresciana. Ma, malgrado gli ostacoli frapposti dall’ingerenza della Serenissima nel controllo delle vicende ecclesiastiche, alcuni vescovi riuscirono a proseguire l’attività riformatrice tridentina: Marino Zorzi (1596-1631), Vincenzo Giustiniani (1633-1645) e, soprattutto, Bartolomeo Gradenigo (1682-1698). Le fonti di questo periodo, inoltre, abbondano nel testimoniare il grande successo della predicazione popolare, soprattutto con le missioni dei gesuiti, non di rado osservate con diffidenza da Venezia per i possibili disordini che potevano scaturirne.
Non dobbiamo tacere le ombre, notevoli, di questo secolo nella storia ecclesiastica bresciana: dai rigurgiti dell’eterodossia, come appare dalla presenza dei “pelagini” in Valle Camonica inclini al quietismo, alla piaga delle monacazioni forzate, con la vicenda delle monache domenicane di S. Caterina.
Il Settecento vide prolungarsi, attraverso l’opera di alcuni vescovi particolarmente illuminati, l’assetto culturale di un’azione pastorale tendente a qualificare maggiormente il clero dal punto di vista intellettuale, per far fronte alla sfida del secolo dei Lumi. Si segnalarono a questo proposito il vescovo Badoer, forse non esente da rimproveri per il suo intransigente rigore in certi procedimenti, ma soprattutto Angelo Maria Querini. Questi è forse, insieme al Bollani, la figura più eminente dell’episcopato bresciano, colui che riuscì a fondere in sintesi armonica le caratteristiche del prelato dotto ma anche dello zelante pastore, preoc-cupato di raggiungere il popolo non solo attraverso una visita pastorale impegnativa ed accurata, ma soprattutto per mezzo di un clero all’altezza della sua missione.
Durante il suo episcopato assistiamo ad un impulso notevole nella costruzione di nuove chiese, culminato in quella della nuova cattedrale; ma anche alla fondazione di una delle prime biblioteche pubbliche d’Italia.
Fu l’impulso dato dal Querini a fare di Brescia una delle capitali della cultura ecclesiastica, con le sue numerose cattedre di teologia, come pure una delle diocesi di riferimento per la vita religiosa italiana ed europea.
Ma la fertile politica culturale del Querini favorì anche, durante gli ultimi anni della dominazione veneta, l’impostazione di correnti di sapore giansenistico, che turbò notevolmente l’episcopato di mons. Molin prima e mons. Nani poi. L’istituzione della Repubblica Bresciana nel 1797 fece vivere alla diocesi uno dei momenti più infelici della sua storia, soprattutto per lo scempio operato, in nome della Ragione, di libri, opere d’arte e preziose testimonianze di una millenaria storia di fede. Il bilancio della storia della Chiesa bresciana nel periodo veneto presenta luci ed ombre: pastori degni di questo nome affiancano prelati più solleciti della loro carriera o dei loro interessi; un clero che, con l’andar del tempo, appare più qualificato ed istruito, soprattutto più vicino ad un popolo dalla pietà che, in qualche caso, andava regolata, comunque sempre profondamente sentita. Dopo la bufera rivoluzionaria, che non aveva in ogni caso scavato solchi profondi negli animi, fu merito del vescovo Gabrio Maria Nava l’aver restaurato le condizioni per una ripresa della vita religiosa: dal Seminario, all’attività edilizia, catechetico-educativa e caritativa.
L’Ottocento nella storia ecclesiastica bresciana pare contrassegnato, innanzitutto, da un forte rinnovamento e sviluppo della vita consacrata, soprattutto femminile, che porta alla nascita di congregazioni religiose dedite in modo particolare all’assistenza ed all’educazione; un secondo elemento connotante il secolo è il coinvolgimento del clero diocesano nelle tensioni politiche dell’età risorgimentale, che, in ultima analisi portarono ad una spaccatura tra una minoranza che simpatizzava col Risorgimento e una maggioranza che, pur critica nei confronti del governo austriaco, si mostrava diffidente, a ragion veduta come il futuro avrebbe dimostrato, nei confronti di molti esponenti liberaldemocratici.
L’aspetto maggiormente caratterizzante il XIX secolo è, comunque, l’emer-gere del “movimento cattolico” che, particolarmente nella sua sensibilità sociale, trova a Brescia uno dei suoi terreni d’elezione: nomi come quello di Tovini, Capretti, Bazoli, Longinotti e Montini sono, a questo proposito, altamente evocativi.
Il lungo episcopato di uomini come Verzeri, Corna Pellegrini, Gaggia consentì il consolidamento delle istituzioni parrocchiali, degli oratori, dell’Azione Cattolica, permettendo alla diocesi di resistere ai fenomeni collegati alla nascita della società di massa, come l’urbanesimo e l’industrializzazione.
Nella prima metà del secolo XX la Chiesa bresciana sviluppò una particolare sensibilità formativa, facendo leva sulla quale mons. Gaggia ispirò un atteggiamento di fermezza nel periodo della dittatura fascista.
Sotto la guida di mons. Tredici (1933-1964), la Chiesa bresciana fu in grado di affrontare le gravi prove del secondo conflitto mondiale del secolo e della Resistenza, allargando l’ambito della carità e la sua presenza nella lotta per la libertà.
Nel 1963 è da registrare un avvenimento storico per la Chiesa bresciana: l’elezione di un bresciano, il card.Giovan Battista Montini, a Sommo Pontefice: Papa Paolo VI (1897-1978)
I recenti episcopati di mons. Luigi Morstabilini (1964-1983), di mons. Bruno Foresti (1983-1998) e di mons. Giulio Sanguineti (1998-2007) hanno promosso un’attività di ricezione dei dettami del concilio Vaticano II non priva di difficoltà ma, nel complesso, graduale e sicura. Il cammino post-conciliare di questa Chiesa locale è, tuttavia, ancora troppo ravvicinato per essere oggetto di analisi storica serena ed obiettiva.
È nella consapevolezza di avere alle spalle una vicenda cristiana di notevole respiro e prestigio, nella fedeltà creativa alla sua grande tradizione che la Chiesa bresciana prosegue il suo cammino nella storia.