«Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro. In verità vi dico, lo metterà a capo di tutti i suoi averi». Queste parole che abbiamo ascoltato dal Vangelo secondo Luca, ben si addicono al vescovo Battista, cui diamo oggi l’ultimo saluto, accompagnandolo all’incontro con il Padre della gloria.
Amministratore fedele e saggio dei doni ricevuti per grazia, servitore generoso del suo Signore, egli ha consacrato a lui tutta la vita, trasformandola in un sacrificio di lode a Dio.
Figlio della terra bresciana e in particolare della Valle Camonica, sin dalla giovane età egli ha risposto alla chiamata di Dio, che lo ha avviato sulle strade del ministero apostolico, prima presbiterale e poi episcopale.
Anch’egli potrebbe ripetere, come l’apostolo Paolo nel passaggio della Lettera agli Efesini che la liturgia ci ha proposto: «A me è stata concessa la grazia di annunciare alle genti le imperscrutabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio creatore dell’universo, affinché per mezzo della Chiesa sia ora manifestata la multiforme sapienza di Dio» (Ef 3,8-10).
Questo è il segreto di ogni apostolo: riconoscere le imperscrutabili ricchezze del mistero di Cristo e gioire vedendolo manifestato nell’opera missionaria della sua Chiesa. Avviene di ogni apostolo come dell’amico dello sposo di cui parla il Vangelo di Giovanni: egli è felice di diminuire perché cresca il suo Signore e a sua misura cresca la Chiesa, la sua amata sposa, destinata ad essere per tutti la città sul monte, segno luminoso di salvezza.
A questa missione il vescovo Battista ha votato se stesso, nello slancio della fede. Il suo servizio al Signore, nella Chiesa e per la Chiesa, ha assunto una forma ben precisa, che realmente ha plasmato la sua vita. Ordinato nella nostra diocesi a Bienno il 22 luglio del 1962, dopo la formazione e gli studi a Roma, egli ha intrapreso la strada che lo porterà a svolgere per l’intera sua vita attiva il servizio ecclesiale nella diplomazia vaticana, come Rappresentante tra le nazioni del vicario di Cristo, pastore della Chiesa universale.
«Una servizio ecclesiale – come ebbe a dire il Cardinale Agostino Casaroli nell’omelia di ordinazione episcopale del vescovo Giovanni Battista – che ha carattere, utilità, responsabilità, difficoltà del tutto singolari. Infatti – egli precisava rivolgendosi al neo vescovo – non alla cura di una chiesa particolare ella è chiamata, ma a prestare la sua opera al Vicario di Cristo nell’espletamento della sua missione di Pastore universale». E aggiungeva: «Di carattere non meno ecclesiale è il servizio che i Rappresentanti pontifici, rivestiti del carattere di agenti diplomatici, prestano nei vari paesi a favore delle grandi cause umane, che hanno nome: solidarietà umana, integrale progresso dei popoli, diritti dell’uomo, cultura, pace nella giustizia, nella verità, nella libertà, nell’amore». In un discorso ai suoi Rappresentanti presso la nunziatura di Manila, san Paolo VI aveva presentato così il loro compito: «Partecipando al carisma particolare di Pietro, voi rappresentate in maniera privilegiata le esigenze dell’unità, nell’ auspicata diversità delle espressioni della medesima fede».
Emergono qui i diversi aspetti del singolare servizio ecclesiale a cui il vescovo Battista ha dedicate tutte le sue energie.
Le destinazioni che egli ricevette come nunzio apostolico furono: Rwanda, Guatemala, Corea e Mongolia, Siria. Alla prima di queste, cioè al Ruanda, egli rimase particolarmente affezionato, perché ebbe la gioia di accogliere là san Giovanni Paolo II, il papa cui lo legava un sentimento di particolare affetto. In quella circostanza, tenendo il suo discorso al corpo diplomatico presso la nunziatura di Kigàli, il santo papa Karol Woytila aveva pronunciato parole particolarmente efficaci circa il valore del servizio reso alla Chiesa dai Rappresentanti pontifici: «Presente in tutti i continenti – aveva osservato – la Chiesa Cattolica non intende, come sapete, trattare direttamente i problemi tecnici. Suo dovere è piuttosto attirare incessantemente l’attenzione dei responsabili e di tutti gli uomini di buona volontà sulla necessità di arrivare a costruire un’autentica comunità dei popoli. Nessuno di essi può essere lasciato da parte. La vita, la salute, l’educazione, la pace sono dei beni che non devono essere rifiutati a nessuno. Ogni popolo ha il diritto di vedere rispettata la sua dignità, la sua cultura, il libero esercizio delle sue responsabilità».
Il vescovo Battista ebbe modo di ascoltare di persona queste parole presso la nunziatura che egli in quel momento dirigeva, poco prima di lasciare il suo incarico per la successiva destinazione. E così ebbe solo notizia del terribile eccidio che poi travolse il Rwanda, il cui ricordo gli rimase impresso come una profonda ferita mai rimarginata.
Gli ultimi anni della sua vita volle trascorrerli nella sua diocesi di origine e nell‘amata Valcamonica, dove affondavano le sue radici. Al paese di Bienno, in particolare, si sentiva fortemente affezionato. Ne è prova il dono che egli volle fare a questo Comune di oltre 40 opere d’arte che ora si possono ammirare nella pinacoteca che porta il suo nome, presso palazzo Simoni Fè.
Il Signore, che è fedele e ricompensa i suoi amici, conceda al vescovo Battista, ambasciatore della sua misericordia, il premio della beatitudine riservato ai suoi servitori.
A noi il compito di custodire l’eredità spirituale che ci giunge da dalla preziosa testimonianza di chi, con umile e generosa dedizione, ha servito il Signore Gesù nella sua Chiesa per il bene di tutte le genti.
+ Pierantonio Tremolada
