S. Giuseppe Lavoratore 2024

Dall’Era Valerio S.R.L (Sabbio Chiese) | Mercoledì 1 maggio 2024
LA DIGNITÀ DEL LAVORO

Il primo maggio è per la Chiesa la festa di san Giuseppe lavoratore. Lo sposo della Beata Vergine Maria, l’uomo che ha avuto un ruolo di primo piano nel mistero dell’Incarnazione, ci viene presentato oggi dalla liturgia in una prospettiva particolare, che mette in evidenza la sua professione, il suo mestiere e quindi il suo lavoro.

I Vangeli ci dicono – l’abbiamo ascoltato nel racconto di Matteo – che Gesù era conosciuto come “il figlio del falegname”. Avendo egli trascorso a Nazareth i primi trent’anni della sua vita, è molto verosimile pensare che abbia affiancato Giuseppe nel suo lavoro: figlio del falegname, ma anche falegname lui stesso. Le recenti testimonianze archeologiche ci segnalano che vicino al piccolo villaggio di Nazareth esistevano centri urbani ben più importanti, dove il lavoro di un falegname poteva senz’altro trovare la sua adeguata espressione.

La scelta di Gesù di condividere il mestiere di Giuseppe, suo padre secondo la legge, testimonia la considerazione che egli ha avuto del lavoro e il valore che gli ha attribuito. Non lo ha ritenuto disonorevole per la sua persona, ma, al contrario, lo ha esercitato intenzionalmente. In questo modo lo ha nobilitato, anzi, più precisamente, lo ha santificato. Potremmo dire che ha conferito al lavoro la più alta dignità.

La parola “dignità” mi sembra particolarmente importante quando si tratta del lavoro. Lavorare non è un castigo e nemmeno semplicemente una necessità. Può succedere che il lavoro risulti pesante o addirittura insostenibile, ma questo dipende dalle circostanze e dalle modalità in cui viene esercitato. Il lavoro in quanto tale è un’esigenza interiore, un’esigenza – oserei dire – spirituale; è un bisogno che non proviene semplicemente da circostanze esterne, ma sorge dal profondo di noi stessi. Quando si è pienamente in forze, non avere un lavoro fa sentire incompleti, non pienamente realizzati. Vivere di rendita – bisogna riconoscerlo – per quanto a prima vista risulti allettante, alla fine ci appare indecoroso. Con il lavoro l’uomo e la donna danno dignità a se stessi e alla propria vita, rendono onore a Colui li ha creati “a sua immagine” e ha affidato loro il compito di “custodire e coltivare” il meraviglioso giardino nel quale li ha collocati.

È stato recentemente pubblicato dal Dicastero della Fede, e approvato da Papa Francesco, un importante documento dal titolo: Dignitas infinita. Vi si sviluppa il tema della dignità umana, che in modo estremamente significativo viene qualificata come “infinita”. È questo il quadro in cui va collocata tutta la riflessione sul lavoro. L’esperienza lavorativa, infatti, in ogni sua manifestazione, contribuisce a dare piena dignità alla persona umana, a condizione però che essa stessa sia “dignitosa”. Dignità dell’uomo e dignità del lavoro si richiamano a vicenda. Potremmo al riguardo parlare – con una formula cara a Papa Francesco – di un “umanesimo del lavoro”, che va considerato l’obiettivo comune di tutti coloro che operano in questo importante ambito della vita sociale.

Sono personalmente convinto che, per dare al lavoro tutta la sua dignità e onorare il suo compito di rendere più umano il mondo, occorra affrontare l’interrogativo cruciale riguardante l’equilibrata correlazione tra il principio irrinunciabile del primato della persona e la necessaria sostenibilità economica di un’impresa, chiamata a misurarsi con le regole del libero mercato e le sfide della legittima concorrenza. Penso inoltre che, al fine di realizzare un simile equilibrio tra primato della persona e sostenibilità economica dell’impresa, sia indispensabile concentrare l’attenzione su due aspetti essenziali del lavoro, vale a dire le sue condizioni e i valori che lo ispirano. Tenendo conto dell’insegnamento tradizionale della Chiesa, vorrei provare a presentare qui in modo molto sintetico sia le une che gli altri.

Tra le condizioni da considerare essenziali alle finalità del lavoro e al suo adeguato esercizio, credo si debbano enumerare le seguenti: la sicurezza, con tutte le necessarie attenzioni che essa comporta; la giusta retribuzione, che tenga conto della mutevole situazione economico-sociale; lo sviluppo delle capacità di ciascuno, che consenta a chi lavora di esprimersi e di migliorarsi; le relazioni interne all’ambiente di lavoro, nella duplice linea della collaborazione e della solidarietà; il rapporto positivo con il territorio, teso al suo sviluppo e alla valorizzandone delle sue risorse; la proiezione verso il futuro, attraverso una progettualità lungimirante, creativa e coraggiosa; l’uso sapiente della tecnologia, che valorizza l’apporto insostituibile del soggetto umano nei confronti dell’intelligenza artificiale.

Quanto ai valori che in una prospettiva cristiana vanno considerati essenziali per ogni esperienza di lavoro e domandano di essere coltivati in ogni ambiente in cui lo si esercita, mi sembra che possano essere così identificati. Anzitutto l’onestà, con il no alla corruzione, al clientelismo, alle frodi, ai sotterfugi e il sì alla retta coscienza, alla legalità, al senso civico e alla responsabilità. In secondo luogo, la giustizia, con il no alla discriminazione, allo sfruttamento dei più deboli, alla retribuzione inadeguata del lavoro e il sì al riconoscimento dei diritti fondamentali della persona. In terzo luogo, il rispetto, con il no ai pregiudizi, alla paura del diverso, alla logica del ghetto e con il sì all’apprezzamento delle differenze, alla conoscenza reciproca, alla gratitudine per quanto ciascuno è capace di offrire. In quarto luogo, la sincerità, con il no alle falsità e alle calunnie, alle parole dette alle spalle, alla presunzione di avere sempre ragione, allo scontro tra le opinioni e con il sì al dialogo pacato, al confronto schietto, alla ricerca condivisa della verità di cui nessuno è padrone. In quinto luogo, la solidarietà, con il no allo scontro degli interessi di parte, alla prevaricazione del più forte, al cinismo di chi considera la conflittualità inevitabile e con il sì alla collaborazione costruttiva, all’aiuto reciproco, alla generosità di cui il cuore umano è capace, all’attenzione privilegiata per i più deboli ed emarginati. In sesto luogo, la sapienza, con il no alla banalità, al sentito dire, all’opinione fondata sulla sensazione del momento e con il sì alla coltivazione del pensiero, al gusto della riflessione, alla valorizzazione della competenza, alla correlazione tra cultura e azione sociale. Infine, il perdono, atteggiamento essenzialmente cristiano, con il suo no all’odio che acceca, al mortale desiderio della vendetta, al rancore che non dà pace, alla condanna senza appello e con il suo sì al bene che vince il male, all’amore che sa riscattare, alla mano che rialza, al ricordo pacificato.

Visto in una simile prospettiva, il lavoro si presenta come una scuola di vita, come l’occasione per crescere in umanità. Di questo ha particolarmente bisogno la nostra società nel momento che stiamo vivendo.

Vorrei concludere facendo mie le parole che Papa Francesco ha pronunciato in occasione di un evento particolarmente significativo per il mondo del lavoro. Con esse, ha inteso precisare il ruolo che il lavoro riveste nella edificazione dell’intera società. Ecco come si è espresso: “Se vogliamo mirare a un futuro che sia dignitoso, se vogliamo un futuro di pace per le nostre società, potremo raggiungerlo solamente puntando sulla vera inclusione, quella che dà il lavoro dignitoso, libero, creativo, partecipativo e solidale”.

Iniziamo oggi il mese di maggio. Vorremmo affidare alla Beata Vergine Maria e al suo sposo san Giuseppe il nostro desiderio sincero di dare al lavoro tutta la dignità che merita e l’impegno a far sì che un tale desiderio trovi sempre più la sua attuazione.

                                                                  + Pierantonio Tremolada