Solennità dell’Immacolata 2025

Chiesa di S. Francesco d’Assisi, Brescia | Lunedì 8 dicembre 2025

Rose e ceri

Illustrissime autorità,
carissimi fratelli e sorelle nel Signore,

siamo riuniti a celebrare la solenne festività dell’Immacolata concezione della Beata Vergine Maria, in questa bella chiesa dedicata a san Francesco, patrono d’Italia e esempio straordinario di una umanità trasfigurata dalla fede.

Ci stiamo incamminando verso la conclusione del Giubileo, l’anno santo nel quale ricordiamo che Dio fa grazia. Di questa grazia egli ha rivestito in modo singolare colei che, destinata ad essere la madre del Salvatore, è stata preservata dalla triste esperienza del male, che invece ferisce la vita di ognuno di noi. La Beata Vergine Maria si presenta a noi nello splendore della sua santità e nella perfezione della sua bontà, perché questo fa la grazia di Dio, anzi, questo è la grazia di Dio: armoniosa unità di bellezza e di bontà.

Quando la grazia di Dio visita la storia umana, si presenta sempre così, come lo splendore del bene, che suscita ammirazione e consolazione. Di una simile grazia, nella quale l’amore si coniuga con la bellezza, mi sembra sia singolare espressione, sul versante del vissuto umano, quel modo di porsi e di esprimersi cui diamo il nome di gentilezza.  Su questo vorrei fissare per un momento l’attenzione, in questa solenne celebrazione, con un pensiero rivolto anche alla nostra città e alla nostra convivenza civile.

Personalmente ritengo che la nostra società abbia bisogno di riscoprire il senso della gentilezza. Sono stato molto colpito da questo passaggio della lettera enciclica Fratelli tutti del nostro compianto papa Francesco: «L’individualismo consumista provoca molti soprusi. Gli altri diventano meri ostacoli alla propria piacevole tranquillità. Dunque si finisce per trattarli come fastidi e l’aggressività aumenta. Ciò si accentua e arriva a livelli esasperanti nei periodi di crisi, in situazioni catastrofiche, in momenti difficili, quando emerge lo spirito del si salvi chi può … Eppure ogni tanto si presenta il miracolo di una persona gentile, che mette da parte le sue preoccupazioni e le sue urgenze per prestare attenzione, per regalare un sorriso, per dire una parola di stimolo, per rendere possibile uno spazio di ascolto in mezzo a tanta indifferenza» (FT 222-223).

La pratica della gentilezza non è un particolare secondario della vita sociale; non è un atteggiamento superficiale o borghese; non è cortesia formale e neppure semplicemente un tratto caratteriale. La gentilezza è una forma di attenzione verso l’altro, un riconoscimento del valore della persona che abbiamo di fronte. È un modo di stare nel mondo che implica cura, empatia e responsabilità reciproca. È una disposizione dell’animo che diventa virtù sociale.

La gentilezza si manifesta in diverse forme: come amabilità del tratto, come attenzione a non ferire con le parole o i gesti, come tentativo di alleviare il peso degli altri. La persona che possiede questa qualità aiuta gli altri a rendere più sopportabile il peso della vita, specialmente quando sopraggiungono problemi, urgenze, angosce. La persona gentile è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano, invece di parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano.

La gentilezza non è debolezza, ma una forza delicata e consapevole. È un atto che nasce da chi non ha bisogno di imporsi, di rivendicare un ruolo o un’autorità. Porta con sé il tratto simpatico dell’umiltà, che non ha piacere di mettere in mostra ciò che agli occhi del mondo potrebbe tanto valere. Non conosce i comportamenti spiacevoli di coloro che amano vantare titoli e appoggi. Non desidera suscitare negli altri sentimenti di inferiorità.

Ci rendiamo conto, oggi più che mai, di quanto sia importante l’incontro dei volti e degli sguardi. La gentilezza si situa in questo incontro, che riconosce l’altro per quello che è, con la sua identità e con la sua dignità, soprattutto quando è particolarmente vulnerabile, per la condizione in cui si trova o per un’azione sconveniente che ha compiuto. La gentilezza scioglie l’imbarazzo con la dolcezza, non obbliga a vergognarsi.

Si è giustamente osservato che un atto di gentilezza, anche piccolo, interrompe la banalità del male e introduce una novità etica in uno spazio pubblico. Non è un gesto semplicemente privato. Un atto di gentilezza cambia il modo in cui abitiamo la società. In un ambiente divenuto ostile, un gesto gentile sorprende, crea uno stacco, apre all’improvviso una nuova prospettiva. E questo perché è totalmente spontaneo e quindi gratuito. La gentilezza prende liberamente l’iniziativa, non è risposta al comportamento dell’altro. È una forma rara di generosità. Precede e accompagna l’azione e il dono, è come un profumo che rende gradito tutto ciò che si fa.

Nell’attuale clima sociale, la gentilezza ci appare come una virtù in contro tendenza. Rimette in gioco il pudore là dove una malintesa trasparenza elimina la distanza e tende ad annullare il senso di mistero che è proprio della persona umana. La gentilezza si oppone con forza a tutto ciò che è sfacciato e anche a ciò che è aggressivo. È sinonimo di delicatezza, di attenzione, di sensibilità. «La gentilezza – scrive sempre papa Francesco – è una liberazione dalla crudeltà che a volte penetra le relazioni umane, dall’ansietà che non ci lascia pensare agli altri, dall’urgenza distratta che ignora che anche gli altri hanno diritto ad essere felici».

Crudeltà, ansietà, urgenza: sono effettivamente alcune delle malattie del nostro tempo. Siamo spesso aggressivi fino a ferire dolorosamente gli altri, incapaci di governare le nostre passioni tristi; siamo presi da un’ansia che concentra tutta l’attenzione su ciò che accade a noi, che ci rende incapaci di vedere il bisogno degli altri e ci porta a giustificare la nostra indifferenza; siamo travolti dalle continue urgenze e così perdiamo la vera misura della vita, che si coglie quando si prende il tempo di fissare il volto dell’altro, per riconoscervi i sentimenti che porta nel cuore.

Lo sforzo di essere persone gentili, vissuto ogni giorno, è capace di creare quella convivenza sana che vince le incomprensioni e previene i conflitti. Poiché presuppone il rispetto, quando si fa cultura in una società, la gentilezza trasforma profondamente lo stile di vita, i rapporti sociali, il modo di dibattere e di confrontare le idee. Facilita la ricerca onesta del consenso e apre strade là dove l’esasperazione del tono distrugge tutti i ponti.

In una prospettiva cristiana, la gentilezza viene dall’alto: ha un’origine divina. San Paolo la presenta come uno dei frutti che lo Spirito santo suscita in noi, quando diamo spazio alla sua azione rigenerante. Scrivendo ai Galati, egli dichiara: «Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, magnanimità, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé». Non forziamo il suo pensiero se consideriamo la gentilezza come l’armonica composizione di magnanimità, benevolenza, bontà e mitezza. Essa esprime uno stato d’animo non aspro, non duro, ma benigno, soave, confortante. È una manifestazione concreta dell’amore cristiano, che attinge alla testimonianza stessa del Signore Gesù.

Leggendo le pagine dei Vangeli si ha modo di constatare come il tratto della gentilezza caratterizzi lo stile di vita del nostro Redentore. Egli ama chiamare ciascuno per nome, incrociare lo sguardo, rivolgere una parola di conforto. Al contrario, non ama affatto umiliare chi è piccolo o chi ha sbagliato: accoglie, perdona, rinfranca, sostiene. Non manca tuttavia di correggere. La gentilezza infatti non è accondiscendenza: si coniuga con la fermezza e l’onestà. E tuttavia non viene meno anche quando il tono si fa severo, perché è capace di far percepire nel rimprovero la retta intenzione, cioè l’amore che lo ispira. È la virtù che, davanti a un comportamento ingiusto, preserva l’animo dalla reazione istintiva della rabbia e della collera.

La gentilezza è la finezza dell’amore. Porta in sé, il tratto della bellezza e della nobiltà. Eleva il rapporto tra le persone fino al livello richiesto dalla loro dignità. In una società molto esposta al pericolo delle relazioni di basso profilo, al rischio delle reazioni violente, dell’offesa facile, della mancanza di rispetto, del senso di reciproca estraneità, il tratto di una persona gentile, capace, per la grazia dello Spirito santo, di mantenersi in un costante atteggiamento di amorevole rispetto verso il suo prossimo, rappresenta una delle più belle garanzie per un mondo migliore.

Questo tratto gentile risplende in modo del tutto singolare nella persona della Beata Vergine Maria, la piena di Grazia, l’Immacolata concezione, colei che non ha conosciuto il male. Il sommo poeta, rapito dalla sua bellezza e inchinato davanti alla sua maestà, la onora così: «In te misericordia, in te pietate, in te magnificenza, in te s’aduna quantunque in creatura è di bontate».

A lei noi ci affidiamo devotamente, mentre proseguiamo insieme il nostro cammino, come pellegrini di speranza.

+ Pierantonio Tremolada