Visita Giubilare nella Zona 15

Chiesa parrocchiale di Gavardo | Mercoledì 15 ottobre 2025
“Signore, nelle tue mani affido il mio spirito”

Il nostro cammino sinodale prosegue. Continua il nostro discernimento, che con l’aiuto dello Spirito santo vogliamo compiere per essere nell’oggi la Chiesa del Signore a servizio del mondo, tessitori di speranza. Ci avviciniamo sempre più al nostro Convegno Diocesano, dal quale attendiamo frutti per il nostro futuro cammino. Prosegue anche la nostra meditazione del Libro degli Atti degli Apostoli, al quale attingiamo per entrare sempre di più nel mistero della Chiesa, che il Signore si è guadagnato con il suo prezioso sangue e che ha voluto si presentasse al mondo come segno e strumento della salvezza.

In questa tredicesima veglia giubilare saremmo invitati a meditare la pagina degli Atti degli Apostoli nella quale ci viene presentata la straordinaria figura di santo Stefano, il primo martire della storia cristiana. Mentre accogliamo la sua preziosa testimonianza, ci chiediamo che cosa ha da dirci circa la nostra vita di Chiesa e la missione che il Signore ci ha affidato. Ma fissiamo anzitutto lo sguardo su Stefano, la sua persona e la sua storia. Della sua vita non conosciamo molto. Sappiamo che era un giudeo di lingua greca. Il suo nome è di origine greca. Inoltre, è il primo ad essere nominato tra i sette a cui gli apostoli affidarono l’incarico di servire le vedove della prima comunità cristiana che erano di lingua greca e che rischiavano, proprio per questo motivo, di essere trascurate nella distribuzione degli aiuti. Di lui, appena si pronuncia il nome, si afferma che era un uomo pieno di fede e di Spirito santo” (At 6,5). Probabilmente giovane d’età, Stefano era molto stimato dai fedeli che componevano la prima comunità di Gerusalemme. Dobbiamo ritenere che non avesse conosciuto personalmente Gesù ma che fosse stato conquistato dalla predicazione di Pietro e dalla testimonianza di tutti gli apostoli. È infatti tra i primi che entrano a far parte della prima comunità cristiana di Gerusalemme. Stefano è dunque un uomo sensibile e generoso, che si pone volentieri a servizio delle persone più deboli i poveri e provvede ai loro bisogni primari. Si dedica tuttavia anche alla predicazione. Lo fa con grande passione, dimostrando una grande sapienza e compiendo prodigi nel nome di Gesù. È pieno di Spirito Santo, cioè profondamente ispirato, affascinato dall’annuncio del Vangelo e conquistato dalla persona di Gesù, che riconosce come il Signore. Conosce le Scritture e le sa interpretare proprio a partire dalla persona di Gesù, riconoscendolo come il Messia promesso dai profeti. È convinto che il grande disegno della salvezza di cui tutto l’Antico Testamento parla ha raggiunto il suo pieno compimento con la morte e la risurrezione del Signore. Tutto quanto è avvenuto nella storia di Israele ha preparato la venuta di Gesù, il salvatore dell’intera umanità. Gesù, dunque, vale per Stefano più della legge di Mosè, vale più del tempio di Gerusalemme. Tutto ha senso in lui e tutto va visto a partire da lui. La morte sulla croce accettata da Gesù per amore dell’intera umanità e la sua risurrezione segnano il punto di svolta dell’intera storia umana, lo hanno rivelato come il Figlio di Dio venuto tra noi come salvatore. Egli ora vive e regna per tutti i secoli. Questo è il cuore della testimonianza di Stefano. Egli non può trattenersi dal proclamarlo a tutti. Si trova ad affrontare la dura opposizione di quanti hanno deciso l’uccisione di Gesù e ritengono che questo nome non debba essere mai più pronunciato. Lo trascinano davanti al Sinedrio e lì lo accusano di parlare contro il tempio e contro Mosè. Quello che già era accaduto al suo Signore, accade anche a lui. In un lungo discorso che tiene davanti al Sinedrio, Stefano conferma la sua fede in Gesù, Messia e salvatore, e pone i suoi accusatori davanti alle loro responsabilità. Li invita a ravvedersi con parole forti, come fecero gli antichi profeti, che però scatenano una reazione rabbiosa e violenta.

Davanti all’intero sinedrio, Stefano, quasi a conferma della sua testimonianza coraggiosa, riceve un dono dal suo Signore. Come abbiamo ascoltato: “Stefano, pieno di Spirito Santo, fissando il cielo, vide la gloria di Dio e Gesù che stava alla destra di Dio e disse: ‘Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio’”. Vive un’esperienza straordinaria: vede il suo Signore nella gloria dei cieli, seduto alla destra di Dio. E non può tacere. Dice: “Ecco, contemplo i cieli aperti e il Figlio dell’uomo che sta alla destra di Dio”. Quello che egli crede è ciò che il Signore gli rivela ed è ciò che aveva dichiarato Gesù stesso davanti al Sinedrio: “Vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della potenza e venire sulle nubi del cielo”. Chi non vuole credere, interpreta questa come una bestemmia.

La reazione si fa violenta. Come abbiamo ascoltato dal Libro degli Atti, “lo trascinarono fuori della città e si misero a lapidarlo”. È una condanna a morte a cui segue immediatamente l’esecuzione. E qui è importante che ascoltiamo le due ultime frasi che Stefano pronuncia poco prima di cadere ucciso: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. E subito dopo: “Signore, non imputare loro questo peccato”. Che cosa dicono dunque a noi oggi la persona di Stefano e il suo martirio? Che cosa insegnano a noi che ci stiamo interrogando sul nostro essere Chiesa oggi qui dove il Signore ci chiama?

Ci ricorda anzitutto che la nostra fede deve trasformarsi in testimonianza. La vita cristiana non è infatti qualcosa di puramente privato. Assume necessariamente una valenza pubblica. Ci spinge verso gli altri ad annunciare quanto abbiamo scoperto importante per noi. Ci rende missionari. San Paolo scrive nella prima lettera ai Corinzi: “Annunciare il Vangelo per me è una necessità. Non posso non farlo!”. La Chiesa esiste per la missione e ognuno che ne fa parte deve sentirsi mandato. Abbiamo qualcosa di molto prezioso da offrire a tutti quelli che incontriamo, che vivono con noi. Sappiamo bene in chi abbiamo riposto la nostra fiducia e siamo convinti che grazie a lui, il Signore di tutti, il mondo può essere migliore e può tenere viva la speranza di cui ha tanto bisogno. Questo suppone che il cuore venga conquistato da colui nel quale abbiamo creduto. La testimonianza trova la sua radice nel segreto del cuore, rimanda a quanto noi sentiamo nel profondo. Riconoscere Gesù come il Signore significa, come per Stefano, consentire a lui di regnare su di noi, di abitare i nostri pensieri, di ispirare i nostri sentimenti, di guidare le nostre scelte, di vincere le nostre paure, di sostenere le nostre fatiche; significa guardare tutto a partire da lui e ritrovare in lui il senso di ogni cosa; significa soprattutto amarlo sinceramente, con tutta la forza del nostro povero cuore, rispondendo al suo amore misericordioso e fedele con generosità. Questo ha fatto santo Stefano! È stato conquistato dal Signore. Da questa esperienza interiore, che proveniva dall’opera misteriosa dello Spirito santo in lui, Stefano ha tratto la forza per una coraggiosa testimonianza pubblica, che lo ha condotto fino al sacrificio della vita. La testimonianza cristiana a volte richiede coraggio, perché il Vangelo, con la sua logica d’amore senza compromessi, può trovare nel mondo una dura resistenza. Quando le intenzioni non sono quelle che Dio ispira, quando l’odio, l’orgoglio, l’avidità, la gelosia, la menzogna, il desiderio di potere hanno il sopravvento, allora il discepolo del Signore è chiamato a stare saldo nella fede e a operare secondo la giustizia di Dio. Affrontando anche la tribolazione e la persecuzione. La Chiesa sa che la sua missione può portarla a salire la croce con il suo Signore, certa che l’ultima parola l’avrà sempre la risurrezione. L’esempio di santo Stefano ci ricorda poi che la testimonianza cristiana trae la sua forza e la sua consolazione dalla preghiera. Cadendo a terra sotto i colpi delle pietre dei suoi uccisori Stefano si rivolge al suo Signore e prega: “Signore Gesù, accogli il mio spirito”. La preghiera ci rende veri testimoni, ci permette di affidarci, di non sentirci soli nelle prove, di sentire la forza del Cristo risorto, che è vivo e che ci accompagna tutti i giorni della nostra vita. La preghiera di supplica ci conforta quando ci sentiamo stanchi, disorientati, oppressi, quando ci troviamo a camminare in una valle oscura, quando sentiamo la minaccia di un mondo ostile. La preghiera tiene viva la nostra speranza e le impedisce di trasformarsi in illusione, perché ci fa sentire viva la presenza del Cristo risorto che, come ci ha promesso, è con noi sino alla fine del mondo. L’ultima parola che Stefano pronuncia prima che la sua giovane vita venga spezzata è una parola di perdono: “Signore, non imputare loro questo peccato”. È una parola che fa eco a quella che Gesù ha rivoto al Padre al momento della sua crocifissione: “Padre perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”. Il testimone imita il suo Signore in quella che è una delle espressioni più alta dell’amore: cioè il perdono. Nella Chiesa si impara a perdonare. Ci si perdona gli uni gli altri e si perdonano quelli che ci fanno del male a causa della nostra fede. Non si smette di amare anche chi si comporta verso di noi come un nemico. Non si risponde al male con il male ma si vince il male con il bene. Il perdono è uno atto che a volte rasenta l’impossibile e diventa possibile solo per la grazia di Dio che opera in noi. È questo uno dei segni distintivi più efficaci di una Chiesa che è fedele al Vangelo.

Un ultimo punto merita attenzione. Il Libro degli Atti degli Apostoli riferisce che, per essere più liberi nel lancio delle pietre da scagliare contro Stefano, i carnefici avevano deposto i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo e che questo giovane approvava quella uccisione. Sappiamo cosà avverrà a questo giovane; da fiero persecutore di Gesù diverrà l’apostolo per eccellenza. Paolo stesso – ci racconta sempre il Libro degli Atti degli Apostoli – più volte ricorderà questo episodio, cioè l’uccisione di Stefano, che certo dovette lasciare in lui una fortissima impressione. Certamente Paolo fu colpito dalla morte di questo giovane e dal suo rapporto con Gesù. Stefano, dunque, getta un seme che darà frutto nella vita di Paolo. È l’effetto segreto della testimonianza di ogni martirio. Il sangue dei martiri è germe di vita per la Chiesa. Ecco dunque l’immagine di Chiesa che traspare dalla testimonianza del primo martire della storia cristiana: una Chiesa che annuncia, che serve, che perdona, che prega e affida tutto a Dio. questa è la Chiesa che contribuisce a tenere viva la speranza del mondo.

+ Pierantonio Tremolada