«Un germoglio in una terra arida»
La Chiesa di Corinto (At 18,1-8)
Continua il nostro cammino sinodale. In ascolto dello Spirito ci chiediamo che cosa il Signore si attende da noi, per essere nel mondo di oggi la sua Chiesa, segno e strumento della sua salvezza, tessitori di speranza. Continua anche la nostra meditazione del Libro degli Atti degli Apostoli. Il racconto della vita e della missione della Chiesa delle origini diventa per noi un insegnamento prezioso. La Chiesa vive e cresce nella storia. Cammina accompagnata dal suo Signore e riconosce i segni della sua presenza negli eventi che accadono, nelle gioie e nelle fatiche del suo pellegrinaggio. Il brano del Libro degli Atti che abbiamo ascoltato ci offre la possibilità di condividere un momento importante della missione di san Paolo. Lo seguiamo nel suo percorso lungo le strade del grande impero di Roma.
“Dopo questi fatti – si legge nel testo che è stato proclamato – Paolo lasciò Atene”. San Paolo giunge ad Atene nel suo secondo viaggio apostolico; ha già fondato diverse comunità cristiane. Atene è per eccellenza la città del sapere, la città dei grandi filosofi di un tempo. È però in decadenza. C’è ad Atene l’Areopago, la grande piazza dove tutti possono prendere parola. Paolo vuole cogliere l’occasione per annunciare il Vangelo del Signore e perciò prepara bene il suo discorso, ma quando giunge ad annunciare la risurrezione di Gesù, viene sbeffeggiato e offeso. Comprende che l’annuncio del Vangelo non si basa sulla capacità di parlare, sui ragionamenti raffinati, sullo sfoggio della propria cultura. C’è una sapienza del mondo che è orgogliosa e non apre il cuore a Dio. L’intelligenza conduce a Dio quando è umile e si lascia toccare dal suo amore.
Lasciata Atene, Paolo raggiunge Corinto. La sua missione continua nonostante il fallimento: l’apostolo del Signore non si scoraggia. Il desiderio di far conoscere il Vangelo e di portare agli uomini la salvezza e di onorare la passione e risurrezione di Gesù è troppo grande. Non teme l’impatto con una città come Corinto, che doveva essere impressionante. Corinto era delle più importanti città dell’impero romano e anche una delle più prospere. Capitale della provincia romana dell’Acaia, l’antica Grecia, aveva preso il posto di Atene. Famosa per il suo canale, aveva due porti ed era perciò un centro commerciale prim’ordine, con intensi traffici di merci, marinai, mercanti. La sua popolazione era mista: romani, greci, orientali. Le culture erano diverse e ognuno difendeva la propria. Forti erano le diseguaglianze sociali: tanti ricchi, tanti poveri, tanti schiavi. Corinto era conosciuta in particolare per la sua immoralità, che era divenuta proverbiale: vivere alla maniera dei Corinzi significava condurre una vita dissoluta. In un contesto come questo sembrava impossibile che potesse nascere una comunità cristiana. E invece questo succede. La parola del Vangelo è capace di toccare i cuori in qualsiasi situazione di vita. Viene da pensare alle sfide di oggi. Una testimonianza consapevole, generosa e gioiosa è capace di suscitare un consenso libero e fecondo.
“A Corinto – si legge nel nostro brano – Paolo trovò un Giudeo di nome Aquila, nativo del Ponto, arrivato poco prima dall’Italia, con la moglie Priscilla, in seguito all’ordine di Claudio che allontanava da Roma tutti i Giudei. Paolo si recò da loro e, poiché erano del medesimo mestiere, si stabilì in casa loro e lavorava. Di mestiere, infatti, erano fabbricanti di tende”. Arrivando in questa grande città, Paolo incontra una coppia ebraica, Aquila e Priscilla, costretti a lasciare Roma perché cacciati dall’imperatore Claudio con un editto che impediva a tutti i Giudei di risiedervi. Paolo esercita il loro stesso mestiere di costruttori di tende e viene quindi accolto da loro. Tutto a Corinto parte da qui, da questo incontro e dalla condivisione di un mestiere. Aquila e Priscilla diventano infatti cristiani. La Chiesa nasce così, non da progetti astratti, ma dalla vita, da persone che si ritrovano sulla stessa strada, per ragioni anche molto semplici, nell’ordinario di un vissuto. Sono persone che hanno una storia, magari un passato ferito dalla sofferenza; sono persone colpite negli affetti, costretti a ricostruirsi la vita in un diverso luogo, a riallacciare nuovi legami. In tutto questo interviene l’annuncio del Vangelo. La fede in Gesù crea relazioni nuove e rafforza quelli già esistenti. La Chiesa è fatta di persone che si conoscono, si accolgono nel nome di Gesù, si prendono cura le une delle altre e diventano fratelli.
Accolto nella casa di Aquila e Priscilla, Paolo pensa soprattutto agli altri suoi fratelli Ebrei. Il suo desiderio è portarli al Signore. Si reca ogni sabato alla sinagoga e qui discute con chi è presente, cercando di persuadere tutti. E quando Sila e Timòteo, suoi collaboratori, giungono a Corinto dalla Macedonia, egli comincia a dedicarsi tutto alla Parola di Dio, rendendo testimonianza che Gesù è il Cristo. Colpisce il modo in cui Paolo opera: cerca di persuadere. È lo stile della Chiesa. Essa non impone e non si impone; al contrario, propone e annuncia. Consapevole del dono prezioso che ha da offrire, la Chiesa sa ben distinguere se stessa dal suo Signore. Ciò che desidera è che liberamente si accolga lui e a lui ci si apra con fiducia. L’opera di persuasione avviene nel dialogo, in un confronto sincero e rispettoso, sempre appassionato. La Chiesa crede nella forza della verità, che non conquista mai con violenza. La forma privilegiata dell’annuncio del Vangelo è infatti la testimonianza: prima della parola che si pronuncia viene la condotta che si assume, il modo di presentarsi, il modo di vivere. Paolo testimonia così la sua fede nel Signore Gesù. Ha ormai ben capito che non si tratta tanto di fare grandi discorsi – quanto accaduto ad Atene glielo ha dimostrato – ma di far parlare la vita. Sente vivo il bisogno di dire a tutti, e in particolare ai suoi fratelli Ebrei, che Gesù è il Messia di Dio annunciato dai profeti. Vorrebbe far sentire a tutti la gioia che gli ha procurato l’incontro con lui e il cambiamento che ha prodotto nella sua vita.
Ma non sempre la testimonianza ottiene il frutto sperato. L’annuncio di Paolo nella sinagoga suscita reazioni violente e forte opposizione: viene contestato e offeso. I cuori non sono sempre disponibili ad accogliere la Parola che salva. Le ragioni possono essere diverse. Questa parola costringe infatti alla conversione, getta luce su ciò che è ingiusto o corrotto, contesta privilegi, denuncia sotterfugi, smaschera macchinazioni. È quanto può succedere alla Chiesa di ogni tempo, quando cerca con impegno di essere fedele al mandato del suo Signore. Essa considera suo dovere testimoniare la carità nella verità, l’amore di Dio che porta con sé la giustizia. Non sarà mai possibile, nel nome del Signore, scendere a compromessi, allinearsi con i poteri forti, adeguarsi a modi di pensare che non corrispondono a ciò che Dio si attende. La Chiesa, dunque, non esclude che la sua azione non ottenga il frutto sperato. Mette in conto rifiuto, incomprensione, opposizione e quindi fallimento. È quanto può succedere anche oggi. Le prove di questo momento storico, tuttavia, più che assumere la forma di un’opposizione ideologica violenta, si presentano sotto la forma dell’indifferenza e dell’irrilevanza. Sperimentiamo una sorta di crescente debolezza della Chiesa: vorremmo vedere maggiori risultati, vorremo vedere numeri più alti, vorremmo contare di più. Forse, però, stiamo dimenticando la regola che il Signore ci ha lasciato: quella dell’amore paziente e perseverante. Occorre seminare senza pretendere di vedere subito i frutti; essere lievito nella pasta, sale che dà sapore ai cibi ma anche li conserva nel tempo. Siamo chiamati a puntare non sulla nostra forza, ma sulla potenza del Signore nostro Dio, che opera efficacemente in noi e attraverso di noi nella misura della nostra fede. Per gli effetti, dovremo accettare di non ricondurli ai nostri esclusivi criteri di interpretazione.
Di fronte alla chiusura ostinata di quanti si riuniscono ogni sabato nella sinagoga, Paolo reagisce così: “Il vostro sangue ricada sul vostro capo: io sono innocente. D’ora in poi me ne andrò dai pagani”. Questa non è una minaccia. È un appello accorato rivolto ai suoi fratelli, i figli di Israele, a rendersi conto di quanto sta accadendo. Come se dicesse: “Io ho fatto tutto il possibile, ma voi state rifiutando un dono prezioso!”. Più che amareggiato, Paolo è addolorato. È il dolore che sperimentiamo anche noi quando, personalmente e come Chiesa, ci accorgiamo di non riuscire a convincere le persone che amiamo dell’importanza di ciò che c’è in gioco, di ciò che ci sta a cuore, di ciò che consideriamo prezioso. L’esperienza che facciamo ci obbliga in questi casi a riconoscere che c’è un limite impossibile da superare, quello della libertà personale che può decidere diversamente da come noi vorremmo. A volte le strade che le persone percorrono per giungere là dove speriamo che arrivino, sono più lunghe di quanto noi ci attendiamo. Sarebbe un errore scoraggiarsi. Il Signore sa aprire sempre nuove strade.
È precisamente quanto accade a Paolo. “Egli – si legge nel nostro testo – se ne andò dalla sinagoga ed entrò nella casa di un tale, di nome Tizio Giusto, uno che venerava Dio, la cui abitazione era accanto alla sinagoga. Crispo, capo della sinagoga, credette nel Signore insieme a tutta la sua famiglia; e molti dei Corinzi, ascoltando Paolo, credevano e si facevano battezzare”. Dunque, si chiude la porta della sinagoga ma si apre la porta di una casa. La Chiesa, nella sua azione, è creativa. Non si rinchiude in ambienti stretti. Ama le chiese ma raggiunge anche le case. Una semplice casa, dopo quella di Aquila e Priscilla, diventa il centro propulsore della fede in una città come Corinto. Ma vi sono poi le sorprese della fede: il capo della sinagoga segue Paolo nella casa di Tizio Giusto e crede al Signore insieme a tutta la sua famiglia. Lo fanno con lui molte persone di Corinto, la città gaudente e corrotta. Lo fanno ascoltando la parola di Paolo, il testimone del Vangelo di Gesù. La sua è una parola che conquista, perché tocca il cuore ed è capace di dare compimento al desiderio di una vita rinnovata. Tutto questo accade anche a Corinto. Il Signore dirà a Paolo, apparendo a lui in sogno: “In questa città io ho un popolo numeroso” (At 18,10). Lo Spirito è all’opera in ogni tempo e in ogni luogo. Sarà dunque sempre possibile per noi, in ogni ambiente e in ogni situazione, essere per il mondo la Chiesa del Signore chiamata a tenere viva, con umiltà e coraggio, la speranza che non delude.
+ Pierantonio Tremolada
