“Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?”
Il nostro cammino sinodale prosegue. Continua il discernimento, che, con l’aiuto dello Spirito Santo, vogliamo compiere per essere nell’oggi la Chiesa del Signore a servizio del mondo, tessitori di speranza. Ci avviciniamo sempre più al nostro Convegno diocesano, dal quale attendiamo frutti per il nostro futuro cammino. Prosegue anche la meditazione del Libro degli Atti degli Apostoli, al quale attingiamo per entrare sempre di più nel mistero della Chiesa, che il Signore si è guadagnato con il suo prezioso sangue e che ha voluto si presentasse al mondo come segno e strumento della salvezza. In questa 14ª Veglia giubilare saremo invitati a meditare la pagina degli Atti degli Apostoli nella quale ci viene presentata la chiamata e la conversione di san Paolo, colui che da persecutore della Chiesa del Signore diviene apostolo delle genti nel nome di Gesù. Mentre accogliamo la sua preziosa testimonianza, ci chiediamo che cosa essa dice a noi, quando ci interroghiamo su ciò che il Signore ci domanda per essere oggi la sua Chiesa, inviata nel mondo per tenere viva la speranza.
Saulo. Il nome ebraico. Paolo il nome greco. Due culture, due mondi riuniti in lui. Nato e cresciuto a Tarso di Cilicia, una città di non poca importanza nell’impero romano, situata nell’attuale Turchia. Profondamente radicato nella cultura e nella spiritualità ebraica, fiero della sua appartenenza al popolo di Israele, rigoroso osservante della legge di Mosè e della tradizione che ne è scaturita, entra a far parte del gruppo dei Farisei e frequenta a Gerusalemme la scuola di Gamaliele, uno dei più grandi maestri giudaici di quel tempo. Parla la lingua del popolo ebraico, ma conosce anche la lingua greca, la più diffusa in quel tempo nell’impero di Roma. Non ha conosciuto personalmente Gesù. Viene a sapere di lui attraverso la predicazione dei suoi apostoli e rimane subito turbato e scandalizzato dal fatto che si presenti Gesù di Nazareth come il Messia atteso da Israele. Affermare che un crocifisso sia il Cristo di Dio era per lui intollerabile. Lo considerava offensivo nei confronti di Dio e del suo popolo eletto. Quando Stefano viene lapidato con l’accusa di bestemmia per aver proclamato di aver visto Gesù seduto alla destra di Dio, quelli che lanciano le pietre depongono i loro mantelli ai piedi di un giovane chiamato Saulo. È lui! Il Libro degli Atti degli Apostoli dice in modo esplicito che “egli approvava quella uccisione”. Saulo diventa poi uno dei persecutori più feroci dei discepoli di Gesù. Ritiene che quel nome debba essere totalmente cancellato e che la setta da lui fondata – la definisce così – sia da considerare una pianta velenosa da sradicare. È a questo punto che accade quanto abbiamo appena ascoltato. Rileggiamo il testo che è stato proclamato: Saulo, cospirando ancora minacce e stragi contro i discepoli del Signore, si presentò al sommo sacerdote e gli chiese lettere per le sinagoghe di Damasco, al fine di essere autorizzato a condurre in catene a Gerusalemme tutti quelli che avesse trovato, uomini e donne, appartenenti a questa Via. E avvenne che, mentre era in viaggio e stava per avvicinarsi a Damasco, all’improvviso lo avvolse una luce dal cielo. Anzitutto una luce abbagliante, un bagliore che arriva improvviso, lo fa cadere a terra. È una luce che lo acceca. Più avanti si dice: “Saulo allora si alzò da terra ma, aperti gli occhi, non vedeva nulla”. Viene allora accompagnato a Damasco da quelli che sono con lui e per tre giorni rimane cieco. Poi, per intervento di Anania, uno dei cristiani della comunità di Damasco, tornerà a vedere. Tre giorni senza vedere per meditare su quanto gli è accaduto e per capire che essere diventato cieco e poi aver ripreso la vista è un segno per la sua vita. Qualcuno lo ha messo nella condizione di riconoscere la sua situazione di cecità interiore, gli ha fatto percepire la sua ingiusta chiusura di fronte alla testimonianza dei cristiani, dettata dal suo orgoglio, dalla sua presunzione, dalla convinzione di essere nel giusto. Da qui la violenza. Ora potrà vedere le cose in un modo nuovo, nella verità. Quella luce è segno della grazia che lo ha raggiunto e della potenza che lo ha afferrato. Ecco un insegnamento per noi. La nostra fede porta con sé una luce interiore che ci permette da guardare la realtà nella giusta prospettiva, di capire meglio il mondo che ci circonda, di saper leggere con verità quello che accade. Il pericolo di essere ciechi, perché orgogliosamente chiusi su noi stessi o condizionati dall’opinione corrente, è sempre in agguato. “Nella tua luce vediamo la luce” – dice il Salmo rivolgendosi a Dio. E Gesù più volte aveva dichiarato: “Io sono la luce del mondo, chi segue me non cammina nelle tenebre ma avrà la luce della vita”. Chi è nella Chiesa si lascia continuamente illuminare dalla luce del suo Signore, che ci giunge attraverso la sua Parola e l’ispirazione della retta coscienza. Accecato da questa luce abbagliante, Saulo sente poi una voce che si rivolge direttamente a lui: “Saulo, Saulo”. Per due volte lo chiama per nome, facendo capire che lo conosce personalmente e lasciando trasparire una sorta di confidenza affettuosa. Poi aggiunge: “Perché mi perseguiti?”. È una domanda accorata, non una minaccia e nemmeno un rimprovero. È un invito a fare verità su di sé. A ricercare le ragioni di un comportamento. Perché fai questo? Che cosa ti porta a farlo? Sei certo che sia giusto? È in questo modo che il Signore si manifesta: con la delicatezza di chi sollecita la coscienza. Senza imporsi, nel rispetto della libertà. Riconosciamo in tutto questo un atto di bontà da parte del Signore. Non c’è merito. Saulo in questo momento è un peccatore, prigioniero di se stesso e del suo orgoglio, un persecutore e un violento. Ma Dio gli fa grazia, lo scuote e lo chiama. Che proprio questo gli sia accaduto lo dichiarerà lui stesso, scrivendo a Timoteo: “Rendo grazie a colui che mi ha reso forte, Cristo Gesù Signore nostro, perché mi ha giudicato degno di fiducia mettendo al suo servizio me, che prima ero un bestemmiatore, un persecutore e un violento. Ma mi è stata usata misericordia, perché agivo per ignoranza, lontano dalla fede, 14e così la grazia del Signore nostro ha sovrabbondato insieme alla fede e alla carità che è in Cristo Gesù” (1Tim 1,12-14). San Paolo è uno degli esempi più belli della misericordia di Dio. Ci ricorda che la Chiesa non è dei perfetti, ma di chi ha incontrato il Signore e ha creduto nella sua bontà. Dio non teme i nostri errori e le nostre debolezze. Ha piacere di perdonare ed è forza che risana. Dio si fida di noi, quando accettiamo di fidarci di lui. Il persecutore dei cristiani è diventato l’apostolo delle genti. A maggior ragione, ognuno di noi è chiamato a dare testimonianza nella Chiesa del Signore. Nessuna fragilità e nessuna colpa, riconosciuta con umiltà, ci impedirà di farlo. Alla domanda di Saulo: “Chi sei o Signore”, segue la risposta: “Io sono Gesù che tu perseguiti”. Quel nome che voleva cancellare per sempre ora risuona proprio per lui. Il crocifisso che i cristiani riconoscevano come il Messia atteso, ora gli si manifesta. È vivo in tutta la sua potenza, la luce che lo abbaglia lo conferma. Ha dunque vinto la morte ed è una cosa sola con i suoi discepoli. Saulo lo capisce bene. Sta perseguitando i cristiani, ma il Signore gli dice che sta perseguitando lui. Questa identificazione lo colpisce. Intuisce che quel gruppo di uomini e donne che sta perseguitando ha un legame del tutto singolare con il Signore che gli sta parlando. Avrà modo di riflettere molto su questa verità. Capirà meglio che cosa significa: che questi suoi discepoli sono la sua Chiesa, i suoi fratelli, la santa assemblea dei redenti. Nelle sue lettere descriverà la Chiesa come il corpo vivente del Signore, ma anche la sua sposa, come il popolo della nuova alleanza, come un edificio spirituale dove le pietre sono vive. Davvero il Signore vive nella sua Chiesa, la difende, la fa crescere, la purifica, la santifica.
Noi siamo questa Chiesa. Viviamo della grazia del Signore nella potenza dello Spirito santo. La Chiesa di cui siamo parte ha una dimensione di mistero. Non è una società come le altre. Chi incontra la Chiesa incontra il Signore risorto, che vive regna nei secoli dei secoli. La Chiesa è nel mondo ma non è del mondo. La liturgia e la preghiera ce lo ricordano continuamente. Nella Chiesa, che è la comunione dei santi, il cielo e la terra si sono già uniti, perché il Figlio di Dio è disceso tra noi sulla terra e ci ha fatto ascendere con lui nei cieli. La Chiesa porta in sé una dimensione di eternità.
Se dovessimo alla fine riassumere ciò che è accaduto a Saulo sulla via di Damasco, non potremo che ripetere quello che lui stesso ha dichiarato: “Ho visto il Signore!”. Questo significa che egli ha riconosciuto in quel Gesù che perseguitava il Messia annunciato dai profeti, il Figlio di Dio, amatissimo dal Padre, che con la sua morte e con la sua risurrezione ci ha riscattato dall’ingiustizia, dall’infelicità, dalla disperazione, dal male che avvelena la nostra vita. Ci ha aperto una via di salvezza. San Paolo ha compreso bene che questa salvezza è per tutti, non solo per i figli di Israele. Lui che era fariseo – osservante rigoroso dei precetti della tradizione ebraica – ha riconosciuto il primato di Gesù sulla legge di Mosè e sul tempio di Gerusalemme. Il nome di Paolo, con cui lo ricordiamo, è il suo nome greco e latino, che allude alla dimensione universale del Vangelo che ha annunciato. San Paolo ci ricorda dunque che annunciare il Vangelo al mondo è un dovere della Chiesa di ogni tempo, che questo annuncio illumina la mente e scalda il cuore, fa incontrare la misericordia di Dio e la sua potenza di salvezza. “Quanto è successo a me – sembra dirci Paolo – è quanto può succedere a tutti. Per me vivere è Cristo e vorrei che tutti potessero ripeterlo con me! L’incontro con il Signore ha trasformato la mia vita, l’ha riscattata dal peccato – dall’orgoglio, dalla presunzione, dalla violenza – e ha fatto di me un testimone dell’amore misericordioso di Dio. Ora io canto la gioia della mia conversione e sono felice di servire la Chiesa di Cristo, offrendo la mia vita per amore, fino al sacrificio”. Questa testimonianza, che ci giunge dall’apostolo delle genti, suona invito anche per noi, che siamo chiamati ad essere oggi la Chiesa del Signore e a diventare, qui dove viviamo, tessitori di speranza.
+ Pierantonio Tremolada
