«Tutti i credenti stavano insieme»
Il volto della prima comunità cristiana
At 2,42-47
Celebriamo questa veglia nell’anno giubilare e nella prospettiva del cammino sinodale che stiamo compiendo. Ci stiamo interrogando sulla nostra identità di Chiesa e sulla nostra missione, ponendoci in ascolto dello Spirito del Signore. Come stiamo ripetendo in ogni mia visita giubilare “Siamo la Chiesa del Signore. Vogliamo essere tessitori di speranza”. In questa seconda fase della mia visita giubilare, ci accompagna il Libro degli Atti degli Apostoli. Stiamo meditando su brani di questo Libro del Nuovo Testamento che ci parlano della Chiesa. Nel brano che è stato proclamato, troviamo uno dei ritratti più belli della prima comunità cristiana, che si è venuta a costituire a Gerusalemme a seguito del primo discorso tenuto da Pietro il giorno di Pentecoste. La sua Parola, carica della potenza dello Spirito Santo, annuncia la salvezza nella morte e risurrezione di Gesù e trafigge il cuore di molti. Si legge nel Libro degli Atti: “Allora coloro che accolsero la sua parola furono battezzati e quel giorno furono aggiunte circa tremila persone” (At 2,41). La prima comunità cristiana di Gerusalemme è dunque composta da questo numero considerevole di persone che si aprono alla fede in Gesù. Vengono a questo punto descritte le caratteristiche di questa prima comunità cristiana. Ritroviamo qui gli aspetti costitutivi della comunità cristiana di ogni tempo, ciò che non può mai mancare, perché viene dall’azione dello Spirito Santo e dà forma alla vita redenta. La prima caratteristica viene espressa così: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli”. È bello immaginare come avveniva questo ascolto degli apostoli. La grande comunità cristiana di Gerusalemme era suddivisa in gruppi che si riunivano nelle case. Gli apostoli visitavano le piccole comunità riunite e a tutti rendevano testimonianza del Signore Gesù. Raccontavano ciò che avevano visto e udito di lui con l’intelligenza derivante dall’azione dello Spirito. Essi erano infatti l’anello di congiunzione tra la comunità dei credenti e il Signore. I primi cristiani avevano un grandissimo rispetto degli apostoli. Dice il Libro degli Atti: “Un senso di timore era in tutti, e prodigi e segni avvenivano per opera degli apostoli” (At 2,43). La loro autorità suscitava un santo timore. I segni e i prodigi da loro compiuti attestavano la presenza in loro della potenza del Signore Risorto. Noi sappiamo che dalla testimonianza degli apostoli provengono i Vangeli che ora noi leggiamo e più in generale l’intero Nuovo Testamento. Queste Sante Scritture sono la Parola di Dio per noi oggi, ci permettono l’incontro con il Signore e la conoscenza della sua volontà. Anche noi siamo, dunque, siamo chiamati a coltivare un ascolto assiduo della Parola di Dio. La prima caratteristica della Chiesa è infatti questa: l’ascolto. Ascoltare è l’atto fondamentale del discepolo. Oggi come allora la Chiesa vive se è radicata nel Vangelo, se si lascia continuamente istruire e nutrire dalla Parola di Dio che svela il volto di Cristo. Senza ascolto la Chiesa diventa sorda al grido del mondo e muta nel suo annuncio. La Parola di Dio è viva, efficace, capace di operare nel cuore dei credenti. Accolta con fede e compresa nel suo profondo significato, diviene luce della mente e fiamma che scalda il cuore. Accade a chi ascolta la Parola di Dio quel che avvenne ai due discepoli di Emmaus, i quali, profondamente rattristati e delusi, sentirono ardere il cuore quando il Cristo risorto si affiancò a loro e aprì la loro mente alla conoscenza delle Scritture. La Parola di Dio ci fa conoscere il volto misericordioso di Dio, suscita in noi la fiducia nella sua potenza, indica la strada che dobbiamo percorrere per compiere la sua volontà, ci fa sentire amati da lui come figli. L’ascolto della Parola non è però un gesto privato. Essa avviene nella Chiesa e con la Chiesa. Grazie all’ascolto della Parola di Dio i legami che ci uniscono nella fede diventano sempre più profondi. Ci sentiamo tutti chiamati a condividere la stessa vocazione alla santità, in forza del nostro Battesimo. Può sorgere tra noi una confidenza che non avremmo mai immaginato. Grazie all’ascolto della Parola di Dio, diventiamo capaci, come Chiesa del Signore, di interpretare i segni dei tempi. Attraverso questo ascolto, lo Spirito Santo la guida la Chiesa nelle scelte, la corregge, la consola e la spinge alla missione. Senza l’ascolto continuo della Parola di Dio la Chiesa perde la sua identità e rischia di sostituire alla voce di Dio la sua voce, facilmente condizionata dalla logica del mondo. Vogliamo dunque chiedere questa sera al Signore che la nostra Chiesa cresca nella capacità di ascolto della Parola di Dio e ci sia la sapienza necessaria a trovare strade che consentano a tutti noi di crescere nella familiarità con le Sacre Scritture che ci ha donato.
La seconda caratteristica della prima comunità cristiana è espressa così nel brano degli Atti degli Apostoli che abbiamo ascoltato: “Tutti i credenti stavano insieme e avevano ogni cosa in comune; vendevano le loro proprietà e sostanze e le dividevano con tutti, secondo il bisogno di ciascuno”. In un passo che segue troviamo: “La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno considerava sua proprietà quello che gli apparteneva, ma fra loro tutto era comune” (At 4,32-35). I primi cristiani testimoniano dunque una comunione di cuori che diventa solidarietà. Nessuno doveva sentirsi solo nel bisogno perché si era fratelli. Tutto nasce dalla fede nel Signore risorto, che con la sua morte in croce ha fatto dell’amore reciproco la regola della vita. È la fraternità cristiana che stupisce il mondo di allora e il mondo di sempre, e che corrisponde alla volontà stessa del Signore. Lui stesso aveva dichiarato ai suoi discepoli: “Da questa tutti sapranno che siete miei discepoli, dall’amore che avrete gli uni per gli altri” (Gv ). La fraternità è il volto umano della fede. La Chiesa, infatti, non è un insieme di credenti isolati ma una famiglia. Nella Chiesa si vive in comunione, non ci si sente estranei. Questa comunione è fondata sul Battesimo, è nutrita dall’Eucaristia ed è vissuta nella carità. In questo senso si può parlare della Chiesa come popolo di Dio. Lo dice bene il Concilio Vaticano II: “Piacque a Dio santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza legami fra di loro, ma costituendo di loro un popolo, che lo riconoscesse nella verità e lo servisse nella santità” (LG 9). Una delle espressioni più belle della fraternità cristiana è la cura dei poveri, dei più deboli e fragili, dei bisognosi. La fraternità diviene così solidarietà. Nessuno deve restare indietro, nessuno deve essere dimenticato. I più forti devono aiutare i più deboli, senza offenderli, con grande rispetto e la cui tenerezza di cui il Signore Gesù ci ha dato testimonianza nel tempo in cui è stato tra noi. La fraternità ecclesiale è poi strettamente collegata alla fraternità universale e quindi non è chiusa nei confini di chi fa parte della comunità cristiana: “Tutti gli uomini sono chiamati alla medesima meta, che è Dio. Perciò la carità e la verità richiedono che si promuova una fraternità autentica e universale” (GS 24). Un’altra espressione della fraternità cristiana è la corresponsabilità. Nella Chiesa ognuno è riconosciuto prezioso per la grande dignità che possiede. In forza del Battesimo ha ricevuto il dono dello Spirito Santo ed è chiamato a dare il proprio contributo alla vita delle comunità, mettendo a disposizione le proprie capacità e ponendosi a servizio per il bene di tutto. Il Vangelo, infatti, si incarna nei gesti nei gesti quotidiani di cura, di condivisione, di perdono. Così vissuta, la fraternità attira: è la testimonianza più credibile che Dio è amore.
La terza caratteristica della comunità cristiana delle origini viene così descritta: “Spezzando il pane nelle case”. La prima comunità di Gerusalemme era composta di piccole comunità che si riunivano nelle case e qui spezzavano il pane, cioè celebravano L’Eucaristia. L’Eucaristia era il loro nuovo rito liturgico, semplice e misterioso. Da quando Gesù lo ha compiuto per la prima volta con i suoi apostoli, quel rito è diventato il cuore e la sorgente della Chiesa. Quel pane spezzato e quel vino nel calice sono il corpo e il sangue del Signore, risorto e vivo per sempre. Essa è infatti non è solo un rito simbolico ma la presenza reale del Cristo che offre la sua vita in sacrificio d’amore. L’Eucaristia plasma il popolo di Dio, lo unisce in un solo corpo (quello di Cristo) e lo rende capace di vivere in comunione fraterna e nella carità operosa. Anche la preghiera è parte essenziale della vita della Chiesa. dice il Libro degli Atti: “Ogni giorno erano perseveranti insieme nel tempio”. Chi fa parte della Chiesa sa che cos’è la preghiera. La Chiesa è un popolo che prega. La preghiera è prima di tutto un atto del cuore, un aprirsi. La preghiera è elevazione dell’anima, dialogo vivo con il Padre, per mezzo del Figlio, nello Spirito santo. Pregare significa ascoltare Dio, parlargli, amarlo. Significa lasciarsi trasformare da lui. È abitare il tempo con Dio: vivere ogni cosa alla sua presenza. Nel silenzio della preghiera Dio ci viene incontro e in silenzio continua ad accompagnarci in ogni nostro passo. Grazie alla preghiera possiamo crescere in quella vita che viene dalla grazia, sentirne la bellezza, riceverne la forza. Chi prega con sincerità sente che la propria vita paino piano cambia e che la propria persona diventa più disponibile all’amore, alla verità e alla giustizia. La preghiera, infatti, non cambia Dio ma cambia colui che prega. Senza la preghiera tutta l’attività apostolica della Chiesa rischia di diventare vuoto attivismo, che non porta frutto e può alimentare l’orgoglio.
Infine la gioia. È questa l’ultima caratteristica della comunità cristiana di Gerusalemme di cui ci parla il Libro degli Atti: “Prendevano cibo con letizia e semplicità di cuore, lodando Dio e godendo il favore di tutto il popolo”. Siamo chiamati ad essere una Chiesa semplice e gioiosa, libera dalla mondanità, che non cerca riconoscimenti o potere. La vera gioia – scrive san Paolo VI nella sua ultima enciclica dedicata a questo tema – non dipende tanto dalle circostanze favorevoli, ma dalla presenza di Dio nel cuore. La gioia cristiana è una gioia contagiosa ed è l’anima della missione della Chiesa. La Chiesa, infatti, non cresce per proselitismo, ma per attrazione. Il testimone triste e rassegnato non annuncerà mai il Vangelo del Signore, che è per sua natura una lieta notizia di salvezza. Alla Chiesa del Signore non sono risparmiate le prove. La gioia cristiana non esclude la sofferenza, ma la trasfigura. Nasce infatti nasce dalla croce e dalla risurrezione di Cristo. La gioia cristiana è una gioia pasquale. Abbiamo meditato sulle caratteristiche della Chiesa delle origini, abbiamo così scoperto quali sono le caratteristiche della Chiesa di sempre: l’ascolto della Parola di Dio, la comunione fraterna, la celebrazione dell’Eucaristia come sorgente della vita nuova, la preghiera come respiro del cuore, la gioia come anima della testimonianza cristiana. Coltiviamo in noi il desiderio di dare alla nostra Chiesa questo volto luminoso, coltivando nelle nostre comunità parrocchiali ciò che permette alla Chiesa di essere pienamente se stessa. Saremo così fedeli al mandato del Signore e, insieme a ogni uomo e donna di buona volontà, terremo viva nel mondo la speranza.
+ Pierantonio Tremolada
