Visita Giubilare Zone 10 e 11

Chiesa parrocchiale di Alfianello | Mercoledì 29 gennaio 2025

«Amate i vostri nemici»

La regola di vita della Chiesa del Signore

Lc 6,27-36

Siamo la Chiesa del Signore, vogliamo essere tessitori di speranza. Nel cammino che abbiamo avviato nella nostra diocesi per questi due anni pastorali desideriamo dare a queste parole tutto il loro significato e trasformarle nell’anima che ispira la nostra azione pastorale. Ponendoci in ascolto della parola di Dio, e in particolare del Vangelo di Luca, vogliamo in queste veglie giubilari interrogarci sulla nostra appartenenza alla Chiesa – una, santa, cattolica e apostolica – e prima ancora sulla identità stessa della Chiesa e sulla sua missione. Ci guida una domanda: come dobbiamo presentarci oggi al mondo in modo che si manifesti in noi la verità della Chiesa del Signore? Che cosa il Signore si attende anzitutto a noi, se vogliamo essere davvero suoi discepoli in questo nostro tempo? Quale testimonianza siamo chiamati ad offrire, per contribuire a tenere sempre viva, nel suo nome, la speranza al mondo?

L’evangelista Luca, che ci trasmette fedelmente l’insegnamento di Gesù, ci invita a rispondere così: siamo chiamati, come discepoli di Cristo, a mostrare anzitutto al mondo l’amore misericordioso di Dio, l’amore che sa perdonare, l’amore che vince il male con il bene, che rende onore alla vita e ha piacere di vederla riscattata. L’abbiamo ascoltato nel brano del Vangelo che è stato proclamato. Gesù si rivolge ai suoi discepoli e alle folle e dice: “A voi che ascoltate io dico: amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite quelli che vi maledicono, pregate per quelli che vi trattano male”.

Queste sono le parole che il Signore Gesù pronuncia nel primo discorso di cui l’evangelista Luca ci dà notizia. Più volte egli aveva accennato all’insegnamento d Gesù in favore delle folle, ma nulla aveva detto circa il suo contenuto. Ora invece lo fa. Queste parole del Signore Gesù vanno dunque considerate estremamente importanti. Sono le prime che egli rivolge direttamente ai suoi discepoli avendo sempre sullo sfondo le grandi folle.

Il discorso di Gesù comincia con un annuncio, che suona come una promessa di felicità. Egli dice: “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio”. Chi sono questi poveri a cui Gesù si rivolge? Sono anzitutto loro, i suoi discepoli: Simone e Andrea, Giacomo e Giovanni e gli altri che lo hanno seguito, lasciando le barche e le reti. Non hanno abbandonato i loro cari, ma hanno accettato di considerare ormai tutto a partire da lui. Si sono fidati del suo cuore e della sua potenza e certi che, seguendolo, non avrebbero tradiranno i loro affetti. Hanno deciso di accogliere il suo invito e di condividere il suo modo di vivere: itinerante, umile, estremamente sobrio, piuttosto incerto, dipendente dalla generosità di altri, nel quale non si aveva neppure il giusto orgoglio del proprio lavoro. Con lui e per lui si erano fatti poveri. A loro Gesù promette: “Farete l’esperienza della sovranità di Dio nei vostri cuori e da qui deriverà la vostra felicità.

Questa dunque è la promessa. Ma poi – sono appunto le parole che abbiamo appena ascoltato – il Signore aggiunge un comando. Non si tratta di un ordine, ma di un invito accorato, di un’esortazione appassionata, di un’indicazione che dovrà orientare l’intera vita dei suoi discepoli. “A voi che ascoltate io dico: amate i vostri nemici fate, del bene a quelli che vi fanno del male”. La parola è diretta e molto chiara. Come se Gesù dicesse: “Questo è ciò che io vi chiedo, ciò che da subito voglio dirvi, ciò che ritengo essenziale per voi se volete venire dietro a me. Siate persone che sanno amare, che conoscono la potenza e la misura dell’amore, che amano anche chi non se lo merita, chi vi fa del male, chi si comporta con voi come un nemico”. E poi precisa: “Se fate del bene a chi vi fa del bene, quale gratitudine vi è dovuta? Anche i peccatori fanno lo stesso!  … Amate invece i vostri nemici, fate del bene e prestate senza sperarne nulla, e la vostra ricompensa sarà grande nei cieli e sarete figli dell’Altissimo, perché egli è benevolo verso gli ingrati e i malvagi. Siate voi dunque misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso”.

Ecco il cuore del Vangelo di Gesù: l’amore misericordioso del Padre, che rende misericordioso il cuore degli uomini. La misericordia è la forma che l’amore assume quando incontra il male, l’agire colpevole, l’offesa, la cattiveria, l’ingratitudine. La misericordia è l’amore gratuito, che nulla chiede per sé, che non si attende riscontro, che non tiene conto del male ricevuto, che perdona vincendo il male con il bene, che non si rassegna a vedere l’altro come un nemico, anche quando lo colpisce.

La misericordia suscita nel cuore di chi subisce l’offesa non il desiderio di vendetta ma la pietà, la pena sincera nel vedere un fratello prigioniero del male. La misericordia sente forte il valore della vita, la difende contro tutto ciò che la offende. Essa è tenace, desidera il riscatto della colpa e gioisce quando la vita torna a trionfare nella sua dignità e bellezza. Così fa Dio con noi.

È il lieto annuncio che è venuto a portarci il Salvatore del mondo. Quando Gesù nasce a Betlemme nel freddo di una grotta, perché non c’è per lui un alloggio, gli angeli cantano un inno che in verità è una rivelazione: “Gloria a Dio nell’alto dei cieli e pace in terra agli uomini che egli ama”. Davvero Dio ama gli uomini e fa splendere su di loro il sorriso del suo volto. E quando la risposta degli uomini non è quella che Dio si attende, il suo amore prende la forma della misericordia, cioè – come dice la parola – di un cuore che si apre ai miseri, di una benevolenza mite e paziente, che mette in conto incomprensioni, tradimenti, oltraggi, umiliazioni. La sua ira sarà rivolta sempre al peccato e mai al peccatore, cui sempre guarderà con l’affetto di un Padre.

L’evangelista Luca è quello che più rimarca questo aspetto del mistero di Dio. Solo nel suo Vangelo troviamo le parabole cosiddette della misericordia: la pecora smarrita e ritrovata, la moneta perduta e poi scovata, e soprattutto il figlio prodigo poi riaccolto dal padre nella casa. Gesù dichiara che si fa festa in cielo per ogni peccatore che si ravvede e cambia vita e questo padre che apre le braccia al figlio colpevole ridandogli dignità, diventa un’immagine meravigliosa di Dio, che usa misericordia verso tutti e non si rassegna a vedere qualcuno perduto. Dio ha piacere di riscattare. Ama vedere che la vita riprende, che la persona si rialza; ama offrire sempre ad ognuno nuove possibilità dopo i fallimenti. Così ha fatto il Cristo Salvatore nella sua vita tra noi. Egli sceglie come discepolo Matteo, il pubblicano; apprezza il gesto delicato di una donna che gli esprime riconoscenza e che tutti qualificavano semplicemente come una peccatrice; entra nella casa di Zaccheo, considerato da tutti gli abitanti di Gerico una persona senza dignità e senza speranza, riscattandone la vita; al ladrone crocifisso con lui che gli si affidava, dice: “Oggi sarai con me nel Paradiso”.

Ai suoi discepoli, dunque, il Signore dice: “Siate misericordiosi come è misericordioso il Padre vostro”. Questa è la sua consegna, la regola fondamentale della vita cristiana. La possiamo declinare così: “Fate in modo che vinca sempre l’amore. Lasciate trasparire nel mondo la potenza di bene che viene dal Padre celeste, il quale guarda all’umanità con infinita benevolenza. Siate testimoni dell’amore immeritato, gratuito, che agli occhi del mondo risulta impossibile e forse anche insensato. Amate i vostri nemici, quelli che vi fanno del male, quelli che vi parlano alle spalle, quelli che vi serbano rancore. Siate testimoni della forza che ha l’amore sull’odio. Soprattutto, sappiate perdonare, concedete al bene il diritto dell’ultima parola, date sempre nuove possibilità a chi si è dimostrato ingrato e ingiusto. Ricordate al mondo che è stato salvato dalla croce Cristo Risorto e che ora egli vive nella potenza del suo amore misericordioso”.

Il perdono ha infatti radici divine, oltrepassa i confini delle capacità umane, è frutto di una profonda trasformazione interiore, della rigenerazione del cuore. Solo la grazia che viene da Dio e dal suo Figlio amato ci consente di vivere questo miracolo spirituale. È sempre e solo l’evangelista Luca a ricordarci che al culmine della sua passione, quando si stava compiendo l’atroce atto della sua crocifissione, il Signore Gesù rivolse a Dio una preghiera e disse. “Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno!”. Come a scusarli per l’atto terribile che stavano compiendo.

Siamo dunque chiamati anche noi a stupire il mondo con la testimonianza del perdono, con la gioia di vedere riscattata la vita di chi sbaglia. Nessuno è perduto per sempre. Nessuno deve sentirsi condannato. Nessuna parola di maledizione può essere più pronunciata sulla vita delle persone dopo la redenzione di Cristo. In lui la vita sempre risorge.

Se siamo la Chiesa del Signore e vogliamo dimostralo, la prima cosa che ci viene chiesta è annunciare l’anno di grazia che si è compiuto con la venuta del Cristo redentore. La storia da allora ha come orizzonte la misericordia di Dio. Sia dunque la Chiesa il luogo in cui la vita riprende continuamente il suo respiro, il volto il suo sorriso, il cuore la sua gioia. L’accoglienza amorevole, la benevolenza reciproca, la magnanimità e la pazienza, l’umiltà di riconoscerci tutti peccatori, il sincero desiderio di vedere anche quelli che sbagliano nuovamente felici della loro vita, diano corpo alla nostra testimonianza cristiana. Questa bontà senza misura, che è più forte di ogni spirito di vendetta, di ogni cupo rancore, di ogni categorico giudizio va senza dubbio considerata una delle vie più belle che la speranza percorre per raggiungere i cuori umani. Se saremo misericordiosi, noi, che siamo la Chiesa del Signore, diventeremo davvero tessitori di speranza.

+ Pierantonio Tremolada