Visita Giubilare Zone 13 e 14

Duomo di Montichiari | Mercoledì 5 febbraio 2025

«Rinnegate voi stessi»

La conversione nella Chiesa del Signore

Lc 9,18-24

 

Se siamo la Chiesa del Signore e vogliamo essere tessitori di speranza dovremo sempre ricordare che non si è veri discepoli del Signore senza un serio e costante impegno di conversione. È questo l’argomento della nostra meditazione di questa sera. La Chiesa del Signore è una comunità redenta, che ha fatto e continua a fare l’esperienza della salvezza. Essa sa che la comunione con il Signore e la sua imitazione non vanno da sé, che il nostro cuore ha bisogno di essere costantemente rigenerato.

Nel brano del Vangelo di Luca che abbiamo ascoltato, Gesù stesso fissa le condizioni per essere suoi discepoli e dice: “Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua”. Rinnegare se stessi: questo occorre fare per seguirlo. Ma che cosa significa? Che cosa intende dire il Signore quando chiede questo a chi vuole essere anche oggi suo discepolo?

Si intuisce che egli domanda di prendere in qualche modo distanza da noi stessi e di non assecondare il nostro io in tutto ciò che pretende. Tuttavia, per capire a cosa il Signore sta pensando precisamente è bene fare un passo indietro e provare a rivivere con lui e con i discepoli l’esperienza a cui questa frase rinvia. Il racconto di Luca ci permette di farlo. Lasciamoci dunque guidare da ciò che egli scrive.

Il momento di cui si sta parlando va considerato particolarmente importante per la vita del Signore. Si potrebbe dire che esso segna una svolta. Gesù sta svolgendo il suo ministero ormai da un certo tempo e i suoi discepoli lo seguono da vicino. Sin da quando li ha chiamati, egli sente vivo un desiderio: che essi lo conoscano, che si rendano conto di chi è veramente.  Sapeva bene che la verità della sua persona andava molto al di là della loro immaginazione. Sapeva, inoltre, che la sua missione aveva una portata immensa, perché coincideva con la salvezza dell’intera umanità. Conosceva bene i suoi discepoli: persone semplici, umili pescatori, di grande cuore, aperti alle attese di Israele, desiderosi come molti di vedere i giorni del Messia di Dio, ma pur sempre segnati dai propri limiti. Sarebbero mai riusciti a capire chi era veramente il Messia di Dio e in che modo egli avrebbe realizzato l’opera della redenzione?

Quando Gesù diede inizio alla sua azione pubblica in Galilea, dopo il suo battesimo al Giordano, dimostrò da subito una grande autorità, sempre accompagnata da bontà e tenerezza. I discepoli che lo avevano seguito erano stati molto colpiti da questo suo modo di presentarsi. Egli amava incontrare le persone e stare con loro. Nutriva una naturale benevolenza per i sofferenti e i disperati: guariva i malati di ogni tipo, lebbrosi, ciechi, sordomuti, paralitici; liberava quanti era vittime di oscure possessioni demoniache. Tutti questi prodigi egli li compiva con assoluta naturalezza, dimostrando di possedere una potenza misteriosa, del tutto benefica, che lasciava senza parole. La gente diceva di lui: “Un grande profeta è sorto tra noi, Dio ha visitato il suo popolo”.

Non mancavano tuttavia gli avversari. La gelosia per il forte consenso popolare aveva portato molti dottori della legge a guardarlo con ostilità. Lo consideravano un pericolo, un istigatore di folle e un contestatore della tradizione dei padri. Le notizie su di lui era giunte da tempo anche a Gerusalemme e le più alte autorità della nazione giudaica, in particolare i sacerdoti del tempio, avevano reagito con irritazione e preoccupazione. Alla fine avevano maturato la convinzione che occorreva trovare un occasione per risolvere definitivamente quello che consideravano un problema serio.

Il Signore aveva piena coscienza di tutto questo. Era ormai consapevole che la sua prossima visita alla città di Gerusalemme in occasione della Pasqua sarebbe stato l’ultimo atto della sua vita. Nella città lo attendeva lo scontro definitivo con le autorità del popolo, il cui esito gli era molto chiaro: l’avrebbero condannato e consegnato ai Romani perché fosse crocifisso. Il suo sguardo era tuttavia immensamente più ampio. Egli era in grado di leggere quanto stava accadendo nella prospettiva del disegno di salvezza, che Dio aveva da sempre pensato a favore dell’umanità. E proprio in questa prospettiva egli guardava ai discepoli. Era giunto il momento di introdurli nel segreto di Dio e della sua opera della salvezza. Occorreva preparali allo scandalo della sua morte in croce e insieme annunciare la gloria della sua risurrezione.

Ecco allora – ci racconta l’evangelista Luca nel testo che abbiamo ascoltato – che, mentre Gesù sta gustando con i suoi discepoli un momento di tranquillità, di ritorno dalla sua preghiera e certo illuminato da quel momento di comunione con il Padre, pone loro la domanda che gli sta a cuore. La fa precedere tuttavia da un’altra, che in qualche modo la prepara. Chiede dunque a loro: “Le folle, chi dicono che io sia?”, cioè: “Chi sono io secondo la gente? Quali voci avete raccolto su di me?”. Forse un po’ stupiti dal fatto che Gesù fosse interessato a quanto la gente pensasse di lui, i discepoli non hanno difficoltà a rispondere: “Per alcuni tu sei Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto”. Dunque, questo pensa di Gesù la gente: è un profeta che è ritornato in vita. Il Signore allora incalza i suoi e pone la domanda cruciale: “Ma voi chi dite che io sia?”, cioè: “Secondo voi, io chi sono? Voi che idea vi siete fatta di me?”. Pietro risponde di slancio a nome di tutti: Tu sei il Cristo di Dio“. Per Pietro, dunque, Gesù non è semplicemente un grande profeta; è invece il Messia atteso, l’inviato da Dio di cui hanno parlato i profeti e che darà compimento alle grandi promesse di Dio in favore del suo popolo: promesse di liberazione, di giustizia e di pace. Qui c’è un riconoscimento che ha l’aspetto di una professione di fede. Come se Pietro dicesse: “Io sono convinto che grazie a te, che sei il Messia atteso da tutti noi, il Dio dei nostri padri realizzerà l’opera di bene che ha annunciato, riversando su noi la sua potenza di salvezza”. Non è tuttavia chiaro a cosa Pietro sta pensando precisamente quando pronuncia queste parole, che cosa si aspetta di vedere da parte di colui che riconosce come il Messia da tutti atteso.

La reazione di Gesù alle parole di Pietro ci stupisce. Ci saremmo aspettati una parola di soddisfazione e di approvazione e un invito a tutti di discepoli a diffondere la verità così ben riconosciuta da Pietro. E invece l’evangelista riferisce che Gesù “ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno”. Gesù sa che è giunto il momento di rivelare un segreto da cui dipende il senso di quella stessa definizione che Pietro ha dato di lui. Egli certo è il Messia, ma come dimostrerà di esserlo? Come realizzerà le promesse di pace, giustizia e liberazione fatte dai profeti? Come affronterà la sfida del male che regna nel mondo e la potenza oscura che in molti modi lo ferisce?

Per la prima volta Gesù parla ora ai suoi discepoli di ciò che lo attende a Gerusalemme e dice loro: “Il Figlio dell’Uomo deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno”. È il primo annuncio dell’epilogo che avrà la sua vita tra noi: sofferenza, rifiuto, morte e risurrezione. Questa è, nell’ottica di Gesù, la via che il Messia percorrerà. Così si compirà la sua opera di salvezza.

Egli è consapevole del disorientamento che questo annuncio procurerà ai suoi discepoli, ma sa bene che la sofferenza, il rifiuto e la morte saranno la via per giungere alla risurrezione. Qui cade il vero accento del suo annuncio: la sua vita sembrerà perduta ma in realtà sarà guadagnata, approderà infatti alla sua gloria e alla redenzione del mondo.

È questo lo sfondo in cui collocare l’invito che Gesù rivolge ai suoi discepoli: “Se uno vuol essere mio discepolo rinneghi se stesso”. La frase riceve luce da quella che segue immediatamente: “Prenda la sua croce ogni giorno e mi segua” e questa a sua volta si comprende a partire dal contesto che abbiamo richiamato.

Occorre entrare con Gesù nella via che conduce alla croce, sentire con tutto il suo peso lo scandalo che questo comporta, misurarsi con la reazione che avrà il nostro io. Si tratta di accettare un modo di vedere, di sentire e di pensare che non è quello che il nostro io si aspetta. Rinnegare se stessi significa rinunciare a una visione della vita che risulta istintiva e che si illude di salvarla impostandola sul “guadagno del mondo”, sull’avidità e sull’autoaffermazione. Gesù dirà più avanti: “Quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso?”.

Per chi accetta di percorrere con il Messia di Dio la via della croce, cioè la via dell’amore sacrificale, nella logica del dono e non del possesso, della gratuità e non del tornaconto, della benevolenza e non dell’arroganza, la vita non è perduta ma è guadagnata. Questa infatti è una via stretta, un passaggio doloroso, ma il punto di arrivò è la gioia di vivere, la pace del cuore, l’umile fierezza di una condotta secondo Dio.

La Chiesa è maestra di vita. Essa impara dal Cristo che va verso la croce e insegna che questa è la strada da percorrere. Nella Chiesa si è chiamati a vivere il rinnegamento di sé come esperienza di conversione. La radice del peccato è l’io che esalta se stesso, che ricerca in modo ossessivo della propria autonoma soddisfazione e così alimenta l’individualismo, l’avidità e l’orgoglio. Nella Chiesa si può vivere un’esperienza di purificazione nell’orizzonte della grazia che viene dallo Spirito santo. Possiamo immergere le nostre vesti nel sangue dell’Agnello immolato, ma questo domanda il coraggio di un amore che tende alla sua misura, che contesta la mondanità, che si riveste di umiltà e che sceglie di servire.

Il mondo farà di tutto per distoglierci da questa via e cercherà di convincerci che in questo modo noi perdiamo la vita, la sciupiamo, non la godiamo. Ma l’apostolo Giovanni ci ricorda, facendo eco al Signore stesso, che “il mondo passa, con la sua concupiscenza e il suo orgoglio, ma che fa chi fa la volontà di Dio rimane in eterno!” (cfr. 1Gv 2,15-17)

Questa è la conversione che ci viene chiesta, mentre ci viene annunciata la grande promessa.

Se sapremo rinnegare noi stessi e prenderemo su di noi la croce del Signore, nel segno di un amore libero e coraggioso, avremo la vita e saremo davvero la sua Chiesa, luce amica per il mondo di oggi e tenace custode della speranza che non delude.

+ Pierantonio Tremolada