Visita Giubilare Zone 28 e 31

Chiesa parrocchiale di S. Giovanni Bosco in Brescia | Mercoledì 19 marzo 2025

«Non preoccupatevi per il cibo»

La libertà della Chiesa del Signore

Lc 12,22-31

 

Siamo la Chiesa del Signore, vogliamo diventare tessitori di speranza. Divenuti discepoli del Signore, sappiamo che la nostra fede ci ha aperto la strada della vera libertà. Con il Battesimo siamo stati liberati, per essere veramente liberi da noi stessi e dai beni di questo mondo. Possiamo vincere l’ansia del possesso, meravigliarci con gratitudine della realtà che ci circonda. Siamo liberi perché sicuri che ci accompagna la provvidenza di Dio. Non siamo travolti dall’affanno di ottenere con avidità ciò che il mondo considera essenziale, cioè riempire i magazzini, incrementare i guadagni, ostentare proprietà, garantirsi la possibilità di procurarsi con il denaro tutto ciò che si vuole, pensando che in questo consista la felicità. Per grazia di Dio, siamo stati liberati da una schiavitù che è figlia di una illusione, che cioè la nostra vita dipenda delle cose che possediamo. Su questo vorremmo meditare questa sera, a partire dal brano del Vangelo di Luca che abbiano ascoltato.

“Non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete, né per il corpo, di quello che indosserete”: così dice Gesù ai suoi discepoli e a tutti quelli che lo stanno ascoltando. Questa frase raccoglie in sintesi il messaggio di una parabola che egli ha appena raccontato. Ad un tale che gli chiede di convincere suo fratello a dividere con lui l’eredità, il Signore risponde facendo capire che non è questo il suo compito. Coglie tuttavia l’occasione per mettere in guardia chi lo sta ascoltando da un pericolo che considera molto insidioso. Dice a tutti: “Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni”. Ecco il pericolo: la cupidigia, cioè l’attaccamento smodato, quasi ossessivo, ai beni materiali, nella convinzione che essi rappresentino il tutto della vita. Segue poi, appunto, la parabola: un uomo ricco, i cui campi hanno prodotto un raccolto abbondante, si trova nella condizione di dover decidere cosa fare di quei beni che si sono aggiunti a quelli che già possedeva. Non lo sfiora minimamente l’idea di destinare quanto ha in eccesso a chi non ha il necessario. Il suo desiderio è di tenersi tutto. Costruirà perciò altri magazzini. Pienamente soddisfatto, egli dice a se stesso: “Anima mia, hai a disposizione molti beni, riposati, mangia, bevi e datti alla gioia”. Tragica illusione, che dimentica come nessuno abbia il potere di decidere quanto durerà la sua vita. Quello stesso giorno la vita del ricco improvvisamente finisce. E quei beni accumulati di chi saranno? “Così è – conclude il Signore – di chi accumula tesori per sé e non arricchisce davanti a Dio”.

Qui si aggancia il nostro brano, con la frase che abbiamo ricordato: “Per questo io vi dico: Non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete e di quello che indosserete”. L’esortazione è chiara. Gesù dice ai suoi discepoli e agli altri: “Non preoccupatevi!”. Lo fa con insistenza, ripetendo per tre volte il verbo. Questa raccomandazione, tuttavia, ci stupisce. Non è forse legittimo e addirittura doveroso preoccuparsi di fronte a certe situazioni della vita? Non è un segno di responsabilità preoccuparsi di ciò che è necessario, cioè del cibo e del vestito? Come dobbiamo dunque intendere una simile esortazione?

In realtà è il Signore stesso a offrirci una spiegazione, quando, più avanti, ripetendo l’ammonizione, dice. “Non state a domandarvi che cosa mangerete e che cosa berrete e non state in ansia”. Ora si comprende meglio: Gesù raccomanda di non farsi prendere dall’ansia per i beni di cui la vita ha bisogno. La preoccupazione può essere legittima, l’ansia invece non lo è. Essa avvelena la preoccupazione e la trasforma in affanno. Suscita un profondo senso di incertezza e diffonde la paura di non riuscire a garantire, sulla base delle proprie forze, le condizioni di vita essenziali e quelle richieste dal momento.  È l’ansia di non farcela, di non avere ciò che è necessario. Questa è l’ansia dei poveri e dei deboli. Ad essa si aggiunge poi l’ansia dei ricchi e dei forti, cioè l’ansia di avere sempre di più, che deriva dall’avidità ma può essere anche alimentata dall’invidia e dall’orgoglio.

Il Signore Gesù, che è anche maestro di vita, mette dunque in guardia di fronte al pericolo dell’affanno, che proviene dall’ansia per i beni. Nel suo insegnamento egli precisa anche le ragioni per cui questa ansia non deve trovare spazio nel cuore dei suoi discepoli.

La prima ragione è espressa con una domanda: “La vita non vale non più del cibo e il corpo più del vestito?”. È un invito a porsi anzitutto nella giusta prospettiva e quindi a stupirsi per ciò che si è, prima di preoccuparsi per ciò che si mangerà o si indosserà. Tutti noi abbiamo una vita che vale più del pane e un corpo che vale più del vestito. Pensiamo per un momento al valore che ha il nostro corpo. Con i suoi cinque sensi, ci permette di entrare in relazione con il mondo, di percepirne la bellezza e di valorizzarne le potenzialità. Noi abbiamo occhi che vedono, orecchi che sentono, una bocca con cui esprimerci e comunicare i sentimenti del cuore, abbiamo piedi che ci consentono il movimento, mani che compiono gesti di affetto e realizzano, in collegamento con la mente, le grandi opere dell’arte e della tecnica. Siamo molto più del nutrimento che ci mantiene vivi e del vestito che indossiamo. Non lasciamoci dunque illudere. Il godimento dei beni non coincide con la gioia di vivere. Non può essere il consumo o l’accumulo lo scopo della nostra esistenza. Creati a immagine di Dio, noi abbiamo un volto e un nome, “Voi – dice Gesù – valete molto più degli uccelli del cielo e dei gigli del campo”, che pure sono nutriti e stupiscono per la loro bellezza. Alla nostra identità corrisponde un’altissima aspirazione, che va molto al di là ciò che ci offre il mercato con la sua pubblicità.

Vi è poi una seconda ragione che porta a considerare ingiustificato l’affanno per beni necessari alla vita. È l’offesa che facciamo a Dio, il Padre celeste, quando riteniamo che egli non sappia provvedere con sapienza a quanti ha creato nella sua bontà. “Guardate i corvi – dice il Signore Gesù a quelli che lo ascoltano – non seminano e non mietono, non hanno dispensa né granaio, eppure Dio li nutre. Quanto più degli uccelli valete voi!” E poi aggiunge: “Guardate come crescono i gigli: non faticano e non filano. Eppure io vi dico: neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Se dunque Dio veste così bene l’erba nel campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, quanto più farà per voi, gente di poca fede”. C’è dunque una lezione da imparare, semplicemente guardando con un po’ di meraviglia ciò che accade intorno a noi. Colui che per amore ha dato origine alla vita è anche colui che la sostiene e la promuove. Egli si fa garante di quell’ordine che consente alla vita di svilupparsi in tutta la sua bellezza. Il creato – ci insegna il Libro della Genesi – è tutto pensato in funzione dell’umanità. Ciò che Dio fa esistere nei primi cinque giorni della creazione è totalmente indirizzato verso il senso giorno, nel quale compare l’uomo. C’è un disegno originario di grazia che la colpa delle origini non ha annullato. Il giardino dell’Eden, immagine suggestiva del creato uscito dalle mani del creatore, seppure scompaginato, non ha perso il suo fascino. L’incanto che porta con sé non può non suscitare stupore: ce lo dicono le albe e i tramonti, il cielo con le sue stelle e gli oceani con la loro immensità.

Ma c’è di più. La terra che il Signore Dio ha preparato all’uomo è assolutamente in grado di nutrirlo, di vestirlo, ma anche di curarlo e di allietarlo. La terra, infatti, offre all’uomo il pane che lo nutre, ma anche il vino che lo rallegra e l’olio che lo profuma, e inoltre gli offre il cotone, la lana e la seta per il vestito che lo onora. All’uomo non manca nulla di ciò che gli è necessario. Propriamente egli non se lo deve procurare da sé, lo deve semplicemente accogliere con intelligenza, ponendo in opera le sue facoltà. I processi della natura rispondono all’intenzione originaria del Creatore: tutto è proteso alla vita e alla felicità dell’uomo e nulla mancherà all’uomo di quanto gli è necessario.

Il vero ostacolo al conseguimento di un simile obiettivo è costituito dal cuore dell’uomo. Ciò che intacca questa armonia delle origini e impedisce alla terra di dare a tutti ciò di cui tutti hanno bisogno è l’ingordigia del singolo, l’avidità sfrenata, la ricerca della propria autonoma soddisfazione.

La terra è in grado di garantire in ogni tempo ciò che è necessario alla vita di tutti. Lo conferma il ciclo delle stagioni, con le sue semine e i suoi raccolti che si presentano fedeli al loro appuntamento. Lo confermano i frutti che si raccolgono ogni anno dalle piante che prima fioriscono. Non ci dovrebbe tutto questo stupire? Non ci dovrebbe riempire di gratitudine? Come non vedere allora dietro tutto questo il volto di colui che Gesù chiama “il Padre vostro celeste” e non riconoscere la mano di colui che da Creatore si fa Provvidenza? Colui che si prende cura degli uccelli del cielo e fa fiorire ogni anno i gigli del campo, non avrà forse ancora più a cuore coloro che ama chiamare “suoi figli”?

Si comprende così la parola finale di Gesù, che in questo brano del Vangelo esorta i discepoli a non fare come i pagani, che non conoscono Dio. Che cosa dunque occorre fare? Che cosa Gesù si aspetta dai suoi discepoli e da noi?

Occorre credere in Dio e fidarsi della sua paternità che è all’opera nel creato.

Occorre permettere al disegno di Dio di trovare il suo compimento, consentendo alla creazione di venire in soccorso alle necessità di ogni uomo.

Occorre “cercare anzitutto il Regno di Dio” – dice Gesù – perché tutto il resto, cibo e vestito, “sarà dato in aggiunta”.

Occorre consentire a Dio di regnare sul nostro cuore con la sua amorevole sovranità, impedendo così al nostro io avido e orgoglioso di governare i nostri desideri e i nostri pensieri.

Allora, rigenerati da questa potenza d’amore che opera nel segreto, non mancheranno a noi e agli altri che vivono con noi sulla terra il cibo e i vestito. Il cuore avido genera lo sguardo rapace.

Chi non fa spazio all’amore di Dio in se stesso guarderà al creato come a una casa da saccheggiare e non sarà mai sazio di ciò che afferra senza pudore.

Chi permetterà a Dio di prendere possesso del suo cuore saprà riconoscerlo all’opera nella sua creazione, ne sperimenterà la provvidenza, ne ammirerà la grandezza che traspare dalle sue opere, avrà rispetto di quanto ricevuto in dono, si sentirà parte della grande famiglia umana, volgerà al volto di ciascuna persona lo sguardo che Dio rivolge a lui e non si rassegnerà mai a vedere il proprio fratello privo del necessario.

I discepoli del Signore, che hanno aperto il loro cuore al Regno di Dio, vivono nella libertà, non sono schiavi di se stessi e dei beni che possiedono, hanno vinto la tentazione della cupidigia e si presentano al mondo come custodi del creato e promotori di giustizia.

In questo modo essi si dimostrano fedeli alla missione che hanno ricevuto entrando a far parte della Chiesa e tengono viva nel mondo la fiamma della speranza.

+ Pierantonio Tremolada