Veglia delle Palme

Brescia, Centro Sportivo San Filippo | Sabato 9 aprile 2022

Cari giovani,

finalmente torniamo a incontrarci in occasione della Veglia delle Domenica delle Palme, un appuntamento a cui eravamo affezionati e che ci è mancato in questi ultimi due anni. La dolorosa esperienza della pandemia ci ha impedito di riunirci fraternamente in preghiera per entrare insieme nella Settimana Santa e per disporci a rivivere gli eventi cruciali della nostra salvezza.

Mentre le nebbie di questa grande sofferenza si stanno diradando, l’orizzonte si fa purtroppo di nuovo oscuro. La guerra si è affacciata tristemente sulla scena della nostra vita quotidiana. La stiamo vedendo da vicino. In verità già c’era nel mondo, ma era lontana e forse per questo – dobbiamo confessarlo onestamente – non ne avevamo piena coscienza. Ora è qui alle nostre porte e anche noi, la generazione dell’Europa che non ha conosciuto i terribili conflitti mondiali del secolo scorso, improvvisamente ci rendiamo conto di che cosa sia veramente la guerra: qualcosa di selvaggio e di mostruoso, semplicemente assurdo e assolutamente vergognoso. È la barbarie che prende il posto della civiltà e all’improvviso devasta la vita. Vediamo il dolore e il terrore negli occhi dei bambini e delle madri che fuggono per salvarsi; vediamo lo scempio e la devastazione nelle fosse comuni, nei corpi martoriati, negli edifici sventrati. Uno scenario spaventoso, che ci lascia senza parole. Una vera e propria sconfitta per l’umanità, un sacrilegio – come lo ha definito papa Francesco – e insieme una follia.

Quando la pace è messa in pericolo si capisce ancora di più quanto essa sia preziosa. Con la pace tutto è possibile, con la guerra tutto è perduto. Lo vediamo con i nostri occhi. Qui però sorge spontaneo il desiderio di capire, di spiegare le ragioni che possono assurdamente condurre allo scempio di un conflitto devastante. E si intuisce allora che la pace non è scontata. Essa è un frutto che si raccoglie dopo aver a lungo seminato. La pace domanda rispetto reciproco, senso della giustizia, dialogo, intelligenza, pazienza, sincerità, fiducia. Domanda essenzialmente un cuore puro, libero dall’orgoglio personale e nazionale, capace di contrastare la tentazione del dominio sull’altro in tutte le sue forme.

La pace è l’essenza della promessa che i profeti annunciano per i giorni ultimi, quando il Signore Dio visita l’umanità e invia il suo Messia. Così si legge nel Libro del profeta Isaia: “Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà saldo sulla cima dei monti e s’innalzerà sopra i colli, e ad esso affluiranno tutte le genti … Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra (Is 2,2-4). E ancora: “Un bambino è nato per noi, ci è stato dato un figlio. Sulle sue spalle è il potere e il suo nome sarà: Consigliere mirabile, Dio potente, Padre per sempre, Principe della pace. Grande sarà il suo potere e la pace non avrà fine sul trono di Davide e sul suo regno, che egli viene a consolidare e rafforzare con il diritto e la giustizia, ora e per sempre (Is 9,5-6).

È a queste parole e ad altre ancora dei profeti che dobbiamo pensare quando leggiamo nella Lettera di san Paolo agli Efesini che “Gesù è la nostra pace” (Ef 2,14). La pace vera è lui, il Messia santo di Dio, il suo Figlio amato. Lui è la pace in persona, colui che la offre perché la incarna. Accogliendo lui, si riceve insieme a lui la pace. La Parola di Dio ci consegna dunque questa confortante verità: all’umanità è offerta la reale possibilità di vivere nella pace annunciata dai profeti e la condizione affinché ciò avvenga è che si incontri il Cristo e lo si riconosca come il proprio Signore, che si accolga la sua rivelazione, che si entri in comunione di cuore con lui, che lo si conosca e lo si ami in tutta sincerità; in una parola, che si creda in lui. La fede in Cristo Gesù è per noi il vero fondamento della pace.

Un episodio della vita di Gesù merita a questo punto di essere ricordato: è quello che rivivremo domani nella liturgia della Domenica delle Palme. Quando Gesù arriva a Gerusalemme per la Festa di Pasqua e si trova ormai vicino all’ingresso della città, manda alcuni dei suoi discepoli a prendere un asinello, un piccolo puledro d’asina. Glielo portano e lui vi sale. Entra così in città. Il suo gesto è chiaramente intenzionale e ha un valore simbolico. È un modo per dire che egli è il Messia atteso, colui che viene nel nome del Signore, il re che discende da Davide e che inaugura tra gli uomini il regno di Dio. I suoi discepolo capiscono e lo acclamano. La scena è suggestiva e commovente: quello che entra in Gerusalemme è un corteo di gente umile e assolutamente pacifica, semplicemente felice di riconoscere in Gesù l’atteso delle genti. Nessuna intenzione da parte di Gesù e dei suoi di imporsi con la forza; nessuna ostentazione, nessuna intimidazione o minaccia, nessuna prevaricazione o forzata sottomissione, nessuna umiliazione dell’altro. Dio non conosce altra potenza che non sia quella dell’amore misericordioso. È la potenza che si manifesterà nella risurrezione di Gesù, nel trionfo dell’amore crocifisso.

Ma c’è un secondo episodio che dobbiamo ricordare. È quello che abbiamo sentito raccontare nel brano di Vangelo appena proclamato. Prima di avviarsi verso l’altare del suo sacrificio, cioè il luogo di Gerusalemme detto Calvario, Gesù volle lasciare ai suoi discepoli il suo memoriale, il gesto con il quale l’avrebbero per sempre ricordato. Tutto avviene durante la sua ultima cena. Erano i giorni della grande festa di Pasqua, ricordo della liberazione dei figli di Israele dalla schiavitù dall’Egitto. Occorreva preparare il banchetto rituale con il quale fare memoria di quell’evento straordinario, per riviverlo misteriosamente nella liturgia di un pasto familiare. Il cuore di questo pasto – tutti lo sapevano bene – era costituto dalla consumazione di un agnello. Quando i dodici discepoli di Gesù, i suoi apostoli, prendono posto a tavola con lui, certo non immaginano quanto sta per accadere. Sapevano tutti bene come si “mangiava la Pasqua”, cioè come si svolgeva la cena pasquale. Ogni anno il cerimoniale di questo pasto solenne si ripeteva in modo rigoroso. Che qualcosa di singolare stava per succedere lo lasciano intendere le prime parole che Gesù pronuncia appena la cena inizia. Egli dice infatti: “Ho tanto desiderato mangiare questa Pasqua con voi prima della mia passione, perché – vi dico – non la mangerò più finché essa non sia compiuta nel Regno di Dio”. Il senso di queste parole è piuttosto misterioso ma si intuisce bene che questa cena pasquale per Gesù sarà l’ultima, che egli entrerà subito dopo nella sua passione e che il significato della stessa cena pasquale troverà compimento in un’esperienza futura, che Gesù e i suoi discepoli condivideranno un giorno, quando troverà piena manifestazione il regno di Dio. E tuttavia c’è di più: in questa ultima cena pasquale Gesù ha qualcosa di estremamente prezioso da offrire ai suoi. Egli spezza il pane e lo distribuisce a loro, poi offre loro il calice con il vino. E dice loro: “Fate questo in memoria di me”. Ma prima dichiara solennemente che quel pane è il suo corpo offerto in sacrificio e quel vino è il suo sangue versato sulla croce per la nostra salvezza. Nessun cenno all’agnello pasquale. L’impressione chiara è che ormai il vero agnello immolato sia lui.

Cari giovani, questo memoriale del Signore, cioè l’Eucaristia donata a noi nell’ultima cena, è il fondamento della nostra vita di credenti. E la nostra fede, dal canto suo, è la sorgente della pace. Grazie ad essa noi diveniamo operatori di pace. Su questo vorrei che ci soffermassimo questa sera; questo è il messaggio che vorrei consegnarvi in questa veglia che ci introduce nella Settimana santa. Vorrei esortarvi con tutta la forza che mi viene dal ministero di vescovo, che il Signore mi ha affidato ad essere operatori di pace e ad esserlo in forza della vostra fede.

Non si è operatori di pace a poco prezzo. Non illudetevi che basti per questo qualche buona intenzione o qualche sano ragionamento. La pace tra le nazioni ma anche la pace nelle nazioni, e poi nelle città, nei paesi, nei quartieri, negli ambienti di lavoro, tra parenti e amici, nelle famiglie, questa pace che deve permeare l’intera nostra vita, domanda una profonda conversione del cuore. La pace intorno a noi deriva dalla pace dentro di noi. La mano non si alzerà mai contro un altro uomo, la bocca non dirà mai di lui che è un nemico, l’occhio non lo fisserà mai con odio e rancore se il cuore avrà imparato a riconoscerne la dignità e la sacralità. Ma per questo occorre che il cuore si apra alla grazia di Dio, all’incontro con il Cristo Redentore, alla contemplazione amorevole dell’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo.

La fede in Cristo custodisce i nostri pensieri e i nostri desideri, li sintonizza con i suoi, li rende veri perché li mantieni saldi nella direzione della carità, dell’amore sincero, coraggioso, umile e tenace. Il cuore è come una stanza: le sue porte e finestre possono essere tenute chiuse o possono venire aperte. Chi crede nel Signore Gesù ha deciso di aprirle e di fare entrare con lui la luce che dona pace. Aprite dunque – cari giovani – la stanza del vostro cuore a colui che può illuminarlo, custodirlo, guarirlo, santificarlo. Amate il Signore Gesù, cercatelo, invocatelo. Chiedete con umiltà che sia lui a spegnere il fuoco delle passioni ingannatrici, responsabili di tanti dolorosi conflitti. Chiedetegli anche di non cadere preda delle giustificazioni ideologiche, delle mistificazioni, del pensiero manipolato ad arte. La nostra mente e il nostro cuore, a dispetto di quanto si creda, sono estremamente vulnerabili, esposti a condizionamenti esterni e interni. La fede nel mistero santo di Dio che Gesù rivela ci mantiene nella luce della verità. “Io sono la luce del mondo” – dice Gesù. E aggiunge: “Chi crede in me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”.

L’essenza del Cristianesimo – cari giovani – è tutta nel volto amabile del Signore, che porta con sé la pienezza della vita e quindi la vera pace. Il mondo di oggi cerca uomini e donne di pace, artigiani di pace, costruttori di pace. Siate tra quelli che l’umanità può considerare garanti di un futuro di pace. Per quanto dipende da voi, vivete in pace con tutti: non date spazio a gelosie e rancori, non mortificate e non umiliate il vostro prossimo, non offendete, non insultate, non disprezzate, non condannate, non parlate alle spalle. Siate benevoli, magnanimi, pazienti, generosi, sinceri. Ma ricordate che questo prezioso ventaglio di virtù trova la sua sorgente nella fede in Cristo Gesù, nel suo cuore misericordioso. Siate suoi veri discepoli. Lasciatevi attrarre da Lui nel segreto della vostra interiorità e nel succedersi degli eventi. Vivete tutto con una profonda fiducia in lui. Tenete aperta per lui la stanza del vostro cuore.

Quando lo sposo è con loro gli invitati alle nozze fanno festa. Lo ricorda Gesù a quanti lo contestano perché i suoi discepoli non digiunano. Questa è l’ultima parola che vorrei risuonasse stasera. La fede in Cristo è fonte di gioia ed è capace di imprimere alla vita il passo della danza. In questa veglia si è danzato e ancora si danzerà. Mi dicevo: si può danzare quando soffiano venti di guerra e le bombe seminano nel mondo terrore e morte? Credo proprio di sì. Anzi forse non solo si può, ma si deve. La danza è il nostro modo di annunciare la gioia che il Signore Gesù ci ha guadagnato, la gioia della risurrezione. È la gioia della vittoria sulla morte, della speranza che attinge alla bellezza invincibile dell’amore. È la gioia che non può essere spenta dall’orrore della guerra ma che lo riscatta e lo risana.

Gioia e pace sono inseparabili: l’una riguarda il cuore, l’altra il volto; l’una il modo di sentire, l’altra il modo di guardare. La fede in Cristo è la sorgente di entrambe: chi crede in lui avrà un cuore puro e sarà capace di vedere Dio. Lo scoprirà presente anche tra le macerie della malvagità umana, lo riconoscerà nei gesti di amore che anche lì sbocciano, come fiori che spuntano festanti tra le rocce.

Ci conceda il Signore di credere così, di seguirlo con affetto e con perseveranza, per essere operatori di pace e per danzare la vita al ritmo della sua carità, nella invincibile gioia della sua risurrezione.