Ordinazioni Presbiterali

Brescia, Chiesa Cattedrale | Sabato 12 giugno 2021

 

 

“Per me il vivere è Cristo!” – abbiamo ascoltato nella seconda lettura della nostra solenne celebrazione. In questa frase l’apostolo Paolo ci svela il suo segreto, ci indica l’essenza della sua straordinaria esperienza di fede. L’energia di vita che traspare dalle sue lettere, la sua forte personalità, la sua acuta intelligenza, il suo carattere impetuoso, il suo rigore assoluto hanno trovato il giusto modo di esprimersi e il loro vero approdo. “Per me il vivere è Cristo!” – dice il fariseo dottore della Legge divenuto apostolo del Vangelo. Nessuno avrebbe mai immaginato per lui un simile epilogo.

È anche importante capire in quale circostanza l’apostolo fa questa dichiarazione. Ce lo spiega lui stesso: Desidero che sappiate, fratelli, come le mie vicende si siano volte piuttosto per il progresso del Vangelo, al punto che, in tutto il palazzo del pretorio e dovunque, si sa che io sono prigioniero per Cristo” (Fil 1,12-13). Paolo è dunque in carcere, rinchiuso nei sotterranei del palazzo di un governatore romano in una importante città dell’impero. Da qui Paolo scrive ai Filippesi, comunità a cui rimarrà sempre particolarmente affezionato. Circolano su di lui voci diverse: alcune affettuose, altre maligne. Finire in carcere si presta a molteplici interpretazioni.

Per chi sa di non aver fatto nulla di male, sia la prigionia che le dicerie dovrebbero essere motivo di sconforto. E invece non è così. L’apostolo è assolutamente sereno. Ciò che a lui preme è che venga annunciato il nome di Gesù. Scrive: “Ma questo che importa? Purché in ogni maniera, per convenienza o per sincerità, Cristo venga annunciato, io me ne rallegro e continuerò a rallegrarmene. So infatti che questo servirà alla mia salvezza, grazie alla vostra preghiera e all’aiuto dello Spirito di Gesù Cristo, secondo la mia ardente attesa e la speranza che in nulla rimarrò deluso; anzi nella piena fiducia che, come sempre, anche ora Cristo sarà glorificato nel mio corpo, sia che io viva sia che io muoia” (Fil 1,18-20). Ed ecco la nostra frase: “Per me infatti il vivere è Cristo e il morire un guadagno” (Fil 1,21). Il vivere è Cristo e il morire non fa paura: dovesse succedere – l’essere in carcere non lo esclude – sarà l’occasione per stare definitivamente con lui. Tutto viene visto e valutato da Paolo alla luce del suo Signore, colui dal quale egli è stato conquistato (Fil 3,12).

Vivere: sappiamo quanto è grande il desiderio e quanto impegnativo il compito. La vita non è semplice sopravvivenza. Domanda risposte a interrogativi gravi e insieme affascinanti: perché vivere? Come vivere? Quanto vivere? Quale dunque il senso della vita, quale lo scopo, quale lo stile? Come essere certi che i giorni dell’esistenza saranno lieti? Come non riconoscere il peso delle tribolazioni e l’enigma delle ingiustizie? La risposta di Paolo, incatenato senza colpa in un carcere romano, è questa: “Per me il vivere è Cristo!”.

La vita dunque dipende da lui, dal crocifisso risorto riconosciuto come il Figlio di Dio, dalla percezione profonda della sua meravigliosa vittoria, della sua misteriosa presenza, della sua amorevole volontà. Vivere in lui, di lui, per lui. Ancora di più, lasciare che lui viva in noi: “Sono stato crocifisso con Cristo – scrive Paolo questa volta ai Galati – e non vivo più io, ma Cristo vive in me. Questa vita che vivo nella carne io la vivo nella fede del Figlio di Dio che mi ha amato e ha dato se stesso per me” (Gal 1,20). Lasciarsi attirare da lui; accogliere il suo invito, che abbiamo ascoltato nella pagina del Vangelo di Giovanni: “Rimanete nel mio amore” (Gv 15,9); stare attaccati a lui come i tralci alla vite, trovare casa in lui, abitare il nuovo tempio che è il suo corpo, immergersi nella carità del suo cuore.

Cari candidati al presbiterato – Michele, Attilio, Simone, Filippo – questa è la consegna che il grande apostolo fa oggi a voi, nel giorno della vostra ordinazione presbiterale, all’inizio del lungo cammino che percorrerete come ministri della Chiesa santa di Dio. Ognuno di voi possa ripetere con verità queste parole: “Per me il vivere è Cristo!”. È quanto vi auguriamo anche noi. Affinché questo avvenga, tuttavia, vi auguriamo anche di crescere verso la misura di santità dell’apostolo che le ha pronunciate. Si vive infatti di Cristo se si rinuncia a se stessi, se si ha il coraggio di lasciare ciò che il mondo considera tanto importante, se si lasciano alle spalle gli idoli che incatenano il cuore e si dominano le passioni che lo avvelenano. Lo stesso Paolo ci racconta della sua lacerante purificazione, quando scrive sempre ai Filippesi “Ma queste cose, che per me erano guadagni, io le ho considerate una perdita a motivo di Cristo. Anzi, ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore” (Fil 3,7-8).

Questa – cari candidati – è l’essenza della fede e del ministero apostolico: vivere di Cristo e in Cristo, lasciare che egli viva in voi nella potenza dello Spirito santo. Ricordatelo quando il ministero vi domanderà tutte le vostre energie e sarete chiamati a compiere con generosità tante opere buone. Non dimenticate che esiste una primaria dimensione contemplativa della vita, una mistica della pastorale. Non dimenticate che la spiritualità, cioè la vita secondo lo Spirito di Gesù, è il principio ispiratore di ogni attività della Chiesa. Il primato va conferito alla grazia di Dio. Solo così i frutti verranno. Il vostro cuore entrerà in sintonia con il cuore di Cristo e saprà condividere i suoi stessi sentimenti. Dal cuore si passerà allo sguardo: uno sguardo buono, luminoso e mite; uno sguardo lucido e profondo, capace di affrontare senza ansia la complessità. Dallo sguardo si passerà alla parola: una parola amorevole, costruttiva, sincera. La parola, infine, si fonderà con l’azione: un’azione generosa, paziente, concorde. La vostra presenza sarà così – come chiede il Signore ai suoi discepoli – lievito che fa fermentare la pasta, sale che da sapore, luce che orienta e consola.

La Chiesa ha bisogno di veri testimoni della grazia, di ministri nei quali risplenda la gloria del Cristo risorto. Per questo – cari candidati al presbiterato – non puntate su voi stessi. Siate umile e amabili. Non abbiate di voi una visione troppo alta. Non abbiate paura dei vostri limiti e non temete di renderli manifesti: Dio compie infatti grandi cose in chi si riconosce piccolo. Siate pastori e non comandanti. Entrate nel servizio apostolico della Chiesa in punta di piedi, con gioia e senza presunzione. Rendete onore al cammino compiuto dalle comunità che vi accoglieranno. Anzitutto affiancatevi ai vostri fratelli e sorelle nella fede, se volete essere veramente pastori. Abbiate un alto concetto del popolo di Dio, della sua fede semplice e forte. Amate le persone che ne fanno parte, quanti hanno ricevuto come voi il Battesimo nel nome di Gesù.

Aiutate le comunità cristiane ad essere sempre più se stesse, coltivando con loro le cinque dimensioni costitutive del vivere in Cristo, di cui parla il Libro degli Atti degli Apostoli: l’ascolto della Parola di Dio e la preghiera, la celebrazione dell’Eucaristia, la fraternità, il servizio ai poveri, la tensione missionaria (cfr. At 2,42-47). Accogliendo l’invito dello Spirito santo che giunge dai tempi che stiamo vivendo, aiutate inoltre le comunità parrocchiali a sentirsi sorelle, a camminare insieme nelle Unità Pastorali, per meglio compiere la loro missione e portare il Vangelo della grazia al mondo di oggi.

Rivolgete in particolare la vostra attenzione alle nuove generazioni, ai ragazzi e alle ragazze, agli adolescenti e ai giovani: il vostro cuore si lasci trafiggere dal desiderio di vederli raggiunti dalla rivelazione del Signore. Noi siamo certi, infatti, che l’incontro con lui rappresenta il segreto di una vita veramente felice, la vita che auguriamo a ognuno di loro.

Vorrei concludere con le parole di san Paolo VI, che fanno eco a quelle di san Paolo e rappresentano una seconda potente testimonianza della fede cristiana. Per entrambi al cuore della vita sta il mistero di Gesù. “Per me il vivere è Cristo – scrive Paolo – e il morire un guadagno”. Ecco cosa scrive il santo papa bresciano, che ha voluto prendere il nome dell’apostolo delle genti: “O Cristo, nostro unico mediatore, Tu ci sei necessario … Tu ci sei necessario, o Redentore nostro, per scoprire la nostra miseria e per guarirla; per avere il concetto del bene e del male e la speranza della santità; per deplorare i nostri peccati e per averne il perdono. Tu ci sei necessario, o fratello primogenito del genere umano, per ritrovare le ragioni vere della fraternità fra gli uomini, i fondamenti della giustizia, i tesori della carità, il bene sommo della pace. Tu ci sei necessario, o grande paziente dei nostri dolori, per conoscere il senso della sofferenza e per dare ad essa un valore di espiazione e di redenzione. Tu ci sei necessario, o vincitore della morte, per liberarci dalla disperazione e dalla negazione, e per avere certezze che non tradiscono in eterno. Tu ci sei necessario, o Cristo, o Signore, o Dio-con-noi, per imparare l’amore vero e camminare nella gioia e nella forza della tua carità, lungo il cammino della nostra vita faticosa, fino all’incontro finale con Te amato, con Te atteso, con Te benedetto nei secoli”. Amen