Il Giovane Clero a Napoli e Pompei

Dall’8 al 12 Maggio 2023 i preti giovani della nostra diocesi, in particolare il giovane clero degli ultimi sette anni di ordinazione, sono stati in visita alla Chiesa di Napoli. Accompagnati da don Angelo Gelmini, don Carlo Tartari e don Giorgio Comincioli hanno vissuto giorni di fraternità alla scoperta di una Chiesa diocesana diversa dalla nostra, con tanti aspetti pastorali interessanti e che hanno fatto riflettere. Il pellegrinaggio al Santuario della Madonna di Pompei, le celebrazioni eucaristiche e la preghiera insieme sono stati momenti preziosi e significativi per tutti. Non sono mancate le visite culturali e l’incontro con l’Arcivescovo di Napoli mons. Domenico Battaglia e con l’Arcivescovo di Pompei mons. Tommaso Caputo.

Ecco alcune riflessioni raccolte tra i partecipanti.

 

Perché una uscita di cinque giorni solo tra preti giovani?

L’impressione che a volte si ha, spesso anche divertente, durante le uscite del giovane clero è quella di fare un tuffo temporale all’indietro, nel seminario di qualche anno fa. In realtà è ovvio che non è così, restano le personalità di ciascuno di noi ma la vita che conduciamo e la maturazione che man mano prosegue segnano una differenza notevole rispetto al seminario. Prima camminavamo insieme per prepararci al sacerdozio, ora camminiamo insieme per restare fedeli a questo nostro sacerdozio e per cercare di rispondere al meglio alle necessità della Chiesa e delle nostre comunità. Ci accomunano almeno due cose che sottolineerei tra il passato da seminaristi e il presente da sacerdoti: anzitutto l’essere insieme e in secondo luogo la ricerca. Con queste due parole risponderei alla domanda che mi è stata posta. Siamo insieme, il presbiterio è dono ma a volte anche fatica e il rischio di isolarsi è sempre forte, a volte per delusione altre volte per orgoglio. Trascorrere qualche giorno insieme non è solo coltivazione di amicizie, che coltiviamo anche altrove, ma anche e soprattutto di fraternità, sapersi e riscoprirsi insieme per portare avanti una missione in cui non siamo soli e in cui non possiamo portare frutto se ci isoliamo. Il secondo aspetto è la ricerca. Ricerca di come mantenersi fedeli al meglio al proprio sacerdozio nel contesto della vita molto complessa che ci circonda, con tutto quel che esso chiede e ricerca di come portare al meglio il vangelo oggi nelle nostre comunità. La condivisione mediante gli incontri con altre Chiese ma anche le chiacchierate fra di noi durante quelle giornate aiutano a un confronto profondo in questa ricerca (don Luca Pernici).

Credo che la finalità sia quella di poter vivere in maniera molto semplice e genuina quella fraternità che sappiamo che ci lega gli uni agli altri ma che difficilmente, nell’ordinarietà del ministero, riusciamo a vivere in maniera concreta e continuativa. L’apporto alla nostra formazione è dato dall’occasione della condivisione e dalla possibilità di vivere una amicizia anche nel ministero, a partire da ciò che lo rende fecondo o che a volte fa fare fatica (don Denny Sorsoli).

Che cosa avete conosciuto della Chiesa diocesana di Napoli?

È una chiesa come la nostra. Prigioniera della stessa narrazione che avvolge la città, me l’aspettavo diversa. Mi era stata raccontata come “diversa”. Esagerata nelle sue devozioni, rinchiusa nel suo barocco, schiacciata da poteri mafiosi e da tradizioni ambigue… Invece, in una conoscenza di prima mano, la chiesa di Napoli si dimostra a tutti gli effetti una chiesa normale. Non è vittima della mitologia che fa di questo territorio un ambiente magico o maledetto. Sa di vivere in mezzo a grossi problemi, ma non recita – mi pare – nessun altro ruolo se non quello della chiesa locale. Proprio come la nostra.
Tra i miei ricordi spicca la grande parrocchia di Scampia. Nella figura del suo parroco, nella struttura della loro bella chiesa in costruzione, nel ragazzo intravisto in un’aula mentre insegna a leggere il pentagramma ai bambini della comunità, in tutte queste piccole sbirciatine in una realtà che conosco pochissimo, ho intuito la presenza di una chiesa pratica, in movimento – con gli occhi aperti sui problemi del territorio e con la testa piena di idee su come reagire. È una chiesa di parrocchie, una chiesa di problemi.
È una chiesa bella, una chiesa come la nostra (don Michele Ciapetti).

Quali aspetti culturali avete visitato e conosciuto?

Nei giorni vissuti a Napoli gli stimoli culturali sono stati molteplici. Ci siamo accostati alla stratificazione culturale della città di Napoli e dintorni, che inizia eccellentemente nel periodo romano (vedi Pompei soprattutto) e si sviluppa nei successivi periodi bizantino, angioino, spagnolo, francese, fino all’unità d’Italia. Questa multiformità si è vista nel carattere composito e fortemente simbolico di alcuni edifici significativi: il Duomo di Napoli, la Basilica di san Domenico maggiore e il Complesso monumentale di santa Chiara. L’incontro con alcune persone che abitano e vivono nella città di Napoli ci ha fatto però conoscere da vicino la cultura napoletana in tutta la sua ricchezza, segnata da tradizioni, spiritualità, folklore, forti contraddizioni e contemporaneamente un forte desiderio di riscatto. Camminare con Gennaro per gli stretti vicoli di Spaccanapoli o con don Alessandro tra i grandi condomini di Scampia sono un’esperienza “culturale” che ricorderò, perché la vita delle persone non smette mai di parlare e di rendere unico ogni viaggio (don Filippo Zacchi).

Che cosa ti è rimasto in particolare di questo viaggio?

Il viaggio-esperienza a Napoli mi ha lasciato una sensazione, un sentire “strano”: una vivacità data dalla gente, dalle tradizioni e dai ritmi di quella terra (colori, profumi, patrimonio d’arte, allegria), mista a un profondo senso di pace, una pace generata dalla fraternità respirata nello stare insieme ai confratelli (condivisioni e confidenze, ma anche momenti di spensieratezza) e dal vedere come la nostra realtà di Chiesa e di mondo è sempre abitata dal Risorto (vedi gli incontri con le realtà ecclesiali incontrate)… (don Michele Rinaldi)

In che modo quello che hai vissuto in questi giorni ti può essere di aiuto per la pastorale?

Mi è di conforto anzitutto perché desta la bellezza del sentirsi parte di una famiglia, il presbiterio. Mi ricorda che non sono prete da solo e che la pastorale non è l’attuazione di idee o sensibilità personali ma il discernimento di un presbiterio che si pone in ascolto e servizio delle diverse realtà in cui siamo chiamati a essere pastori. Inoltre il confronto con realtà diocesane diverse dalla nostra permette una maggiore elasticità di giudizio e apre le porte alla creatività pastorale che non si ferma/limita ai confini diocesani (don Marcellino Capuccini).

Ogni territorio è diverso. Ha il suo tessuto sociale, la sua storia, i suoi doni, le sue fatiche e i suoi “cristiani”. È proprio bello vedere come la Chiesa e il suo annuncio si incarnano in una storia, in un modo sempre diverso per rendere sempre presente la Pasqua di Gesù. Così è nelle Chiese di Napoli, Pompei e Sorrento che ci hanno accolto con gioia e ospitalità (don Davide Podestà).

Che ruolo e significato ha avuto la fraternità presbiterale in questi giorni?

Ho vissuto i giorni a Napoli con alcuni obiettivi disparati ma accumunati dal desiderio di staccare un poco ed essere rigenerato anche fisicamente. Certamente la fraternità con gli altri sacerdoti, cercata e accolta, ha rigenerato in me il sentirsi presbiterio, incamminati con il medesimo obiettivo seppur con espressioni e tratti diversi e complementari. Sono tornato alla mia complessa missione pastorale con maggiore consapevolezza di non essere prete da solo. Potrebbe sembrare poco ma nella realtà è qualcosa di importante (don Michael Tomasoni).