Beato Innocenzo da Berzo, presbitero

Nato a Niardo nel 1844; morto a Bergamo nel 1890: le sue spoglie riposano ora nella chiesa parrocchiale di Berzo Inferiore. Ordinato dopo regolari studi nel Seminario diocesano, trascorso in diocesi un breve periodo di apostolato, entrò tra i Cappuccini. Peregrinò in vari conventi, ma fu soprattutto nella permanenza alla santissima Annunziata di Borno che trovò la sua strada verso la santità. Dimenticarsi e annullarsi nella preghiera prolungata, nell’assolvimento degli umili uffici di ministero e di quelli ancora più umili (es. la questua) assegnatigli dall’obbedienza: qui tutto il suo ideale e il cammino della sua santità. Molto venerato in tutta la Valle Camonica, venne beatificato il 12 novembre 1961. Il suo corpo è venerato nella chiesa parrocchiale di Berzo Inferiore.

Dal Comune dei pastori, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dai «Discorsi» del cardinale Giovanni Battista Montini (26 novembre 1961; G. B. Montini, Discorsi e scritti milanesi, II, Brescia 1997, 4753-4754)

Fisionomia di umiltà, di povertà, di rinuncia

Innocenzo da Berzo è veramente un umile frate. Era sacerdote prima o poi si è fatto religioso e sempre nella zona della sua Valle Camonica. È un santo schivo, ritroso, un santo che sfugge, piuttosto che tendere a manifestarsi, un santo che semplifica l’opera dello storico e dell’oratore.
E poi è difficile parlare di lui, perché gli elementi che compongono la sua vita e la sua santità sono le virtù cosiddette “negative”. Manca in essa lo splendore delle azioni e dei fatti, si caratterizza nel servire a tutti, nel non reagire mai.
Questa fisionomia di umiltà, di povertà, di rinuncia è splendida in Innocenzo da Berzo. Chi vuole davvero conoscerlo non ingrandisca altre virtù o altri aspetti, lo colga proprio nella sua genuina e, direi, voluta fisionomia, che è questa: del nascondimento, dell’umiltà. Noi moderni, che viviamo in una società che invece valorizza aspetti ben diversi della vita ci sentiamo quasi non familiari con lui, ci sentiamo confusi e viene in evidenza la sua distanza di statura, come un po’ diceva san Paolo scrivendo ai Corinzi: «Voi nobili, io ignobile; voi grandi, io piccolo; voi potenti, io debole». E vediamo che lo stesso confronto si fa un po’ con noi. Noi vantiamo tutti i nostri beni, quello che siamo, quello che vogliamo, quello che possiamo.
Noi siamo intenti sempre a magnificare, anzi a ricercare lo sviluppo della nostra personalità, l’affermazione del nostro volere, la capacità del nostro affermarsi nella vita, il possedere, l’esser forte. Di tutti questi beni, invece, Innocenzo ha fatto getto; li ha quasi disprezzati, senza gesti drammatici, ma con un continuo, uniforme atto di rinuncia, di distacco; non li ha mai voluti apprezzare, non li ha mai voluti per sé, e, quando sembrava che gli si avvicinassero, li ha respinti. Ha voluto vivere nella più letterale povertà, nel più reale nascondimento, nell’umiltà non detta, non predicata, ma vissuta, fatta propria, con la ricerca di quelle condizioni reali di lontananza dal mondo, di silenzio dell’opinione altrui, che veramente fanno l’uomo pieno di abnegazione e di sacrificio di sé. Questa è l’immagine che ci presenta di sé, all’aspetto fenomenico. Lo vediamo così, e restiamo, sì se volete, ammirati, ma anche un po’ sconcertati. Non c’è unità di misura tra noi e lui, non c’è capacità di facile simpatia, appunto perché camminiamo su due vie diverse: noi verso i valori così detti positivi e terreni, lui, invece, verso lo spogliamento di questi valori e verso altri a lui solo noti, che gli bastavano e che erano di soddisfazione più che ogni altra conquista.
Registriamo, fratelli miei, che qui abbiamo un vero francescano, abbiamo un vero figlio di quel prodigio di santità che dopo sette secoli ancora meraviglia il mondo: Francesco d’Assisi.
Proprio in questa arte di capovolgere le cose umane e di cercare diletto e soddisfazione in ciò che gli uomini invece temono, la povertà e la rinuncia ai beni di questa terra, troviamo una corrispondenza testuale, quasi fotografica, fra san Francesco e Innocenzo; e questa non è una piccola cosa; ci dice almeno che il beato Innocenzo entra davvero nel catalogo degli “autentici”, nel catalogo delle persone che hanno veramente seguito l’esempio del santo fondatore della famiglia francescana.

Responsorio

℞. L’amico di Dio ha fatto cose mirabili davanti a Dio; lo ha onorato con tutto il cuore: * interceda per i peccati degli uomini.
℣. Irreprensibile, vero adoratore di Dio, nemico di ogni colpa, perseverante nel bene,
℞. interceda per i peccati degli uomini.

Orazione

O Dio, che hai dato al beato Innocenzo [da Berzo] la grazia di seguire sino in fondo Cristo povero e umile, concedi anche a noi di vivere fedelmente la nostra vocazione, per giungere alla perfetta carità che ci hai proposto nel tuo Figlio. Egli è Dio.


Beato Guala, vescovo

Nato sulla fine del secolo XII e morto nel 1244. Pare oriundo della bassa Valle Camonica, ma presto trasmigrato a Bergamo. Legato a Brescia come iniziatore della presenza domenicana nella nostra città, fu in seguito inquisitore della fede e assolse importanti missioni diplomatiche. Vescovo di Brescia (1230-1244) in un periodo travagliatissimo, operò a fondo per un riordinamento amministrativo della Diocesi, ma soprattutto per la riforma morale del clero e del popolo. La morte lo colse lontano da Brescia, ma sempre proteso in questo sforzo di rinnovamento di tutte le strutture della sua Chiesa. Il suo culto fu riconosciuto nel 1868. Le sue reliquie sono venerate nel monastero Matris Domini a Bergamo.

Dal Comune dei pastori, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dai «Discorsi» di San Fulgenzio di Ruspe, vescovo (Disc. 1, 2-3: CCL 91 A, pp. 889-890)

L’amministratore fedele e saggio

Il Signore, volendo definire l’ufficio particolare dei servi da lui preposti al suo popolo, disse: «Qual è dunque l’amministratore fedele e saggio, che il Signore porrà a capo della sua servitù, per distribuire a tempo debito la razione di cibo? Beato quel servo che il padrone, arrivando, troverà al suo lavoro» (Lc 12, 42). Chi è questo padrone, fratelli? Senza dubbio Cristo, il quale disse ai suoi discepoli: «Voi mi chiamate Maestro e Signore, e dite bene, perché lo sono» (cfr. Lc 6, 46). E qual è la famiglia di questo padrone? Precisamente quella che lo stesso Signore ha riscattato dal potere del nemico e ha acquisito al suo dominio. Questa famiglia è la santa Chiesa cattolica, che si diffonde per tutta la terra con meravigliosa fecondità e si gloria di essere stata redenta dal sangue prezioso del suo Signore. «Il Figlio dell’uomo», infatti, come dice egli stesso, «non è venuto per essere servito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 28). Egli è anche il buon pastore che ha dato la vita per le sue pecorelle. Pertanto il gregge del buon pastore costituisce la famiglia stessa del Redentore. Chi sia poi l’amministratore che deve essere fedele e saggio, ce lo dimostra l’apostolo Paolo, il quale parlando di sé e dei suoi compagni, dice: «Ognuno ci consideri come ministri di Cristo e amministratori dei misteri di Dio. Ora, quanto si richiede negli amministratori è che ognuno risulti fedele» (1Cor 4, 1).
Perché poi nessuno di noi pensi che solo gli apostoli siano costituiti amministratori e il servo pigro, abbandonando il dovere della milizia spirituale, possa infedelmente e insipientemente dormire, lo stesso beato Apostolo, dimostrando che anche i vescovi sono amministratori, dice: «II vescovo, come amministratore di Dio, dev’essere irreprensibile» (Tt 1, 7). Siamo dunque servi del padre di famiglia, siamo amministratori del Signore, abbiamo ricevuto la razione di cibo che dobbiamo darvi. Se poi ci domandiamo quale sia questa razione di cibo, ce la fa vedere ancora il beato apostolo Paolo quando dice: «A ciascuno secondo la misura di fede che Dio gli ha dato» (Rm 12, 3). Quella che Cristo chiama razione di cibo, Paolo chiama misura di fede, perché comprendiamo che il cibo spirituale non è altro che il venerabile sacramento della fede cristiana.
Noi vi diamo nel nome del Signore questa razione di cibo ogni volta che, illuminati dal dono della grazia spirituale, vi parliamo secondo i dettami della vera fede; e voi ricevete la medesima porzione di cibo dalle mani degli amministratori del Signore, quando ogni giorno ascoltate la parola di verità dai ministri di Dio.

Responsorio – Mt 25, 20-21

℞. Servo buono e fedele, sei stato fedele nel poco, ti darò potere su molto: * prendi parte alla gioia del tuo padrone.
℣. Signore, mi ha consegnato cinque talenti; ecco, ne ho guadagnato altri cinque,
℞. prendi parte alla gioia del tuo padrone.

Orazione

O Padre, che hai dato al beato Guala uno speciale carisma per stabilire il tuo popolo nella pace e nella pietà, concedi anche a noi di essere instancabili operatori di pace, per trarne frutti di genuina vita cristiana. Per il nostro Signore.


Beato Giuseppe Antonio Tovini

Nasce a Cividate Camuno il 14 marzo 1841 in una famiglia cristiana. Frequenta il convitto di Lovere e il collegio Mazza di Verona, si laurea in giurisprudenza a Pavia. Si sposa nel 1875 con Emilia Corbolani, dalla quale ebbe dieci figli. Nell’ambito del Movimento Cattolico bresciano riveste ruoli primari, lavorando nei settori della scuola, della stampa, del credito, delle opere assistenziali e sociali. Concepisce l’apostolato in campo educativo e scolastico con intonazione missionaria: «Le nostre Indie sono le nostre scuole». Strenuo difensore dell’insegnamento religioso nelle scuole, propugnala libertà di insegnamento e sostiene la scuola libera: «Senza la fede, i nostri figli non saranno mai ricchi; con la fede non saranno mai poveri». Muore a Brescia il 16 gennaio 1897. Le sue spoglie mortali sono sepolte nella chiesa cittadina di San Luca. Papa Giovanni Paolo II lo proclama beato il 20 settembre 1998.

Dal Comune dei santi e delle sante: per gli educatori, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dall’«Omelia nella beatificazione di Giuseppe Antonio Tovini», di san Giovanni Paolo II, papa. (20 settembre 1998, Insegnamenti di Giovanni Paolo II, XXI, 2, 1998, Città del Vaticano, 1999, 514-519)

La testimonianza evangelica

Un grande testimone del Vangelo incarnato nelle vicende sociali ed economiche dell’Italia del secolo scorso è certamente il beato Giuseppe Tovini. Egli brilla per la forte sua personalità, per la sua profonda spiritualità familiare e laicale e per l’impegno con cui si prodigò a migliorare la società.
Fervente, leale, attivo nella vita sociale e politica, Giuseppe Tovini proclamò con la sua vita il messaggio cristiano, fedele sempre alle indicazioni del magistero della Chiesa. Sua costante preoccupazione fu la difesa della fede, convinto che – come ebbe ad affermare a un congresso – «i nostri figli senza la fede non saranno mai ricchi, con la fede non saranno mai poveri». Visse in un momento delicato della storia italiana e della stessa Chiesa ed ebbe chiaro che non era possibile rispondere in pieno alla chiamata di Dio senza una dedizione generosa e disinteressata alle problematiche sociali. Ebbe uno sguardo profetico, rispondendo con audacia apostolica alle esigenze dei tempi che, alla luce delle nuove forme di discriminazione, richiedevano dai credenti una più incisiva opera di animazione delle realtà temporali. Facilitato dalla competenza giuridica e dal rigore professionale che lo contraddistinsero, promosse e guidò molteplici organismi sociali, assumendo anche incarichi politici a Cividate Camuno e a Brescia, nel desiderio di rendere presente la dottrina e la morale cristiana in mezzo al popolo. L’impegno per l’educazione fu ritenuto da lui prioritario e, fra le sue tante iniziative, si distinse quella in difesa della scuola e della libertà d’insegnamento. Con umili mezzi e con grande coraggio egli si prodigò infaticabilmente per salvare alla società bresciana e italiana ciò che ha di più suo, cioè il suo patrimonio religioso e morale. L’onestà e la coerenza del Tovini trovavano radici nel profondo, vitale rapporto con Dio, che egli alimentava costantemente con l’Eucaristia, la meditazione e la devozione alla Vergine. Dall’ascolto di Dio nella diuturna preghiera, egli traeva la luce e il vigore per le grandi battaglie sociali e politiche che dovette sostenere per tutelare i valori cristiani. Della sua pietà è testimonianza la chiesa di San Luca, con la bella effigie dell’Immacolata, ove si trovano ora le sue spoglie mortali. Giuseppe Tovini, che oggi contempliamo nella gloria del Paradiso, ci è di sprone. A questo grande apostolo sociale, che seppe dare speranza a quanti erano privi di voce nella società del suo tempo, invito a guardare soprattutto voi, cari fedeli laici di Brescia e d’Italia, perché il suo esempio sia per tutti stimolo e incoraggiamento a operare ancora oggi e sempre con generosità per difendere e diffondere la verità e le esigenze del Vangelo.

Responsorio – Ef 5, 8-9; Mt 5, 14.16

℞. Voi siete luce nel Signore: comportatevi come figli della luce. * Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.
℣. Voi siete la luce del mondo: risplenda la vostra luce davanti agli uomini. Il frutto della luce consiste in ogni bontà, giustizia e verità.

Orazione

O Padre, che nel beato Giuseppe Antonio [Tovini] ci hai dato un luminoso esempio di spiritualità familiare e laicale, effondi su di noi il tuo Spirito, perché con la sua intercessione, diamo al mondo operosa testimonianza della verità del Vangelo. Per il nostro Signore.


Beato Giovanni Fausti, presbitero, e compagni, martiri

Nacque a Brozzo il 9 ottobre 1899. Frequentò il Seminario di Brescia e, dopo la chiamata alle armi, il Pontificio Seminario Lombardo di Roma. Fu ordinato presbitero il 9 luglio 1922, entrò due anni più tardi nella Compagnia di Gesù. Missionario in Albania, insegnò Sacra Scrittura e Teologia nel seminario di Scutari. Nel 1942 fu rettore del Seminario Pontificio albanese a Scutari. Per motivi bellici lasciò la scuola e si trasferì a Tirana. Il 14 aprile 1945, in pieno regime comunista, fu nominato Vice-Provinciale dei Gesuiti in Albania e ritornò a Scutari. Arrestato il 31 dicembre 1945, fu condannato a morte il 22 febbraio 1946 e fucilato a Scutari il 4 marzo 1946. Morì gridando: «Viva Cristo Re!». È stato beatificato a Scutari il 5 novembre 2016.

Dal Comune dei martiri, con salmodia del giorno del salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dalla Lettera pastorale «La speranza in Dio», del beato Vinçenc Prennushi, vescovo (18 gennaio 1944; Tirana, Archivio Centrale dello Stato, Diocesi di Durazzo) 

Affidati completamente alla volontà del Signore

Quando guardiamo alle nostre fragilità e alle difficoltà della vita, specialmente in questi nostri tempi, abbiamo ragione a temere lo scoraggiamento. Ma dobbiamo innalzare la nostra mente alla potenza e alla sapienza di Dio, ricordando quanto lui è pronto ad aiutarci. Allora si rinnoverà la vita dentro di noi, adempiremo bene ogni nostro dovere e non ci abbatterà nessun pensiero, per quanto cupo che sia. Così la speranza nel Signore ci guida verso le opere buone e non ci delude mai. Sicuramente non agisce bene chi si aspetta tutto dal Signore, chi non si dà da fare, chi non si impegna. Il Signore ci ha donato qualità molto preziose, sia spirituali che corporali, e vuole che queste qualità le mettiamo a frutto. Se operiamo nel modo migliore che possiamo, il Signore appoggerà il nostro operare con il suo santo aiuto, basta che lo chiediamo nella preghiera. Così potremo dire insieme a san Paolo: «Tutto posso in Colui che mi dà forza» (Fil 4, 13). San Bernardo ci insegna: «Fa’ quello che devi, e il Signore farà la sua parte». Questo non vuol dire che raggiungeremo tutto quello che vogliamo e che otterremo tutto. Non è questo che il Signore ci ha assicurato. E ciò non sarebbe nemmeno nel nostro interesse.
Siamo stati creati per il cielo e non per la terra. E finché staremo su questa terra, dobbiamo cercare e meritare l’eterna beatitudine. Ma non la raggiungeremmo se le cose andassero sempre come noi vogliamo; basti pensare a quando attraversiamo momenti di avversità, di malattia o di miserie di ogni tipo. Nel suo piano universale di salvezza, il Signore, con la sua bontà e la sua infinita sapienza, ha stabilito tutto anche per noi. Ma non ti dice il cuore che il Signore sa molto meglio di te cosa è più conveniente per la salvezza tua e di quelli della tua famiglia? Sei convinto che egli è vicino a te nei lavori che fai, nei pericoli, nella salute, nella malattia e nelle altre cose buone o cattive? Se veramente hai speranza nel Signore, allora ti convincerai che tutto è molto utile e importante per te; perciò cercherai di essere sempre contento, sottomettendoti alla volontà del Signore. Sant’Agostino scrive: «Costruisci e abbi speranza nel tuo Signore, e abbandonati completamente e comunque nelle sue mani. Allora lui non permetterà che ti succeda niente che non sia per il tuo bene, anche se tu non sempre te ne avverti». La speranza nel Signore non solo ci fa sottomettere alla sua volontà; ci porta anche a essere interiormente contenti anche nelle croci, le miserie e le sofferenze. Devi convincerti che il Signore, qualunque cosa disponga per te, lo fa solo per il tuo bene e che, attraversando la via delle sofferenze, tu possa assomigliare allo stesso Gesù Cristo e ai santi. Così, questo è il momento favorevole per ottenere meriti per l’eternità e per poterti sentire beato e contento nel tuo cuore.
Ad alcuni sembra difficile rimanere nella gioia e conservare la speranza nel Signore ogni volta che subiscono sofferenze e affrontano pericoli. E si mettono a cercare da dove, come e perché arrivano, e si stupiscono perché un Dio così buono e giusto ha permesso che fossero colpiti così. Sarebbe meglio se si mettessero a pensare che il Signore ha voluto metterli alla prova, ha voluto offrire loro stimoli e preziose occasioni per testimoniare fino a dove poteva arrivare la loro speranza nel Signore, fino a dove sarebbero stati disposti a sottomettersi alla volontà del Signore, il quale ha voluto che attraversassero il purgatorio in questa terra e raccogliessero meriti per la vita eterna. A queste persone scoraggiate consiglio di meditare la testimonianza di Tobia. Tobia in tutta la sua vita aveva servito fedelmente il Signore. E il Signore lo ha voluto mettere alla prova. Tobia ha perso la luce degli occhi. I familiari e i conoscenti non lo hanno capito questo e hanno parlato male del Signore, hanno espresso parole di disprezzo per la speranza che Tobia aveva sempre avuto in lui e perché si sottometteva umilmente alla volontà di Dio. E gli dicevano: «Dov’è andata a finire la tua speranza per la quale facevi elemosina e andavi a seppellire i morti?». Ma egli rispondeva: «Non dite così! Siamo figli di Santi e attendiamo una vita che il Signore darà a quelli che gli sono rimasti sempre fedeli».

Responsorio – Cfr. 1Pt 3,14-15

℞. Se doveste soffrire per la giustizia, beati voi! * Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.
℣. Non sgomentatevi per paura di loro e non turbatevi, ma adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori.
℟. Pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi.

Orazione

Dio onnipotente ed eterno, che hai ricolmato del tuo Spirito di fortezza il beato Giovanni [Fausti] e compagni, martiri, perché dessero testimonianza di fedeltà a Cristo e di amore incondizionato ai fratelli, concedi anche a noi, per loro intercessione, di collaborare all’avvento del tuo regno. Per il nostro Signore.


Beato Giovanni Battista Zola, martire

Nato a Brescia nel 1575, entrò giovanissimo nella Compagnia di Gesù e svolse tutta la sua attività nelle missioni, prima in Italia e poi in Giappone, dove si distinse nell’apostolato parrocchiale, nella formazione dei catechisti e nella promozione dei laici. Scoppiata la persecuzione contro gli stranieri, venne arrestato e, dopo lunga prigionia, subì il desiderato martirio del fuoco sulla collina dei martiri di Nagasaki il 20 giugno 1626. Le sue ceneri vennero disperse. Venne beatificato nel 1867.

Dal Comune dei martiri, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dalle «Lettere» del beato Giovanni Battista Zola (Alla sorella, 6 settembre 1623; Archivio dei Padri della Pace, Brescia)

Attesa della corona del martirio

L’anno passato vi scrissi come furono martirizzate a ferro e fuoco centodiciotto persone, tra religiosi e laici, uomini e donne, grandi e piccoli. Dei nostri: quattro padri e dieci fratelli; tra questi un nostro padre rettore: Pietro Navarro Napolitano, fu bruciato vivo con due fratelli di questa città, dove io al presente risiedo.
E così è toccato a me succedergli nell’ufficio, e se gli succederò anche nel martirio sarà pieno e perfetto beneficio. Dalla misericordia di Dio e per mezzo delle orazioni degli amici si può sperare anche questo, ché meriti in me non sento per così grande grazia. Nel luglio scorso fu preso un padre dei nostri e ora se ne sta in prigione, aspettando la desiderata corona del martirio. Non mi posso immaginare luogo più desiderabile in questo mondo che il Giappone, specie in questo tempo di persecuzione, poiché ho la speranza di poter dare la vita per Cristo. Intanto mi do da fare per queste anime con frequenti viaggi missionari che bisogna intraprendere di notte, con i disagi che potete immaginare, per terra e per mare, col freddo e col caldo e altre difficoltà. Di quanto mi serve per vivere non mi do pensiero, perché i cristiani non mi fanno mancare niente e ce n’è d’avanzo per me e per i compagni, e certo mi mostrano tanto amore quanto non potrei sperare nemmeno in Italia. È meraviglioso constatare la grande disponibilità di questa nazione nel ricevere la fede; per questo il demonio si dà tanto da fare per impedirne la conversione. Questa persecuzione ci ha già dato il sangue di quattrocento martiri; e non sembra prossima a finire, benché nulla sia impossibile a Dio! Voglio concludere col pregarvi che ogni giorno, con le vostre orazioni e quelle degli amici, mi impetriate da Dio abbondanza di doni spirituali che aiutino me e il mio prossimo nel servizio della divina Maestà, affinché, con molte anime guadagnate a Dio, io trovi misericordia davanti al Signore e questo mi faccia grazia di servirlo perfettamente in questa vita e goderlo con voialtre in paradiso, come spero.
Ho avuto notizie molto buone quest’anno dall’Italia e dall’Europa, soprattutto ho saputo della canonizzazione dei nostri due santi, Ignazio e Francesco Saverio, e della beatificazione di altri. Siano rese grazie a Dio.

Responsorio – 2Tm 4, 7-8; Fil 3, 8-10

℞. Ho combattuto la buona battaglia, sono giunto al traguardo, ho conservato la fede. * ora è pronta per me la corona di giustizia.
℣. Tutto ho stimato una perdita, pur di conoscere Cristo e partecipare alle sue sofferenze, conforme a lui nella morte. * Ora è pronta per me la corona di giustizia.

Orazione

Dio onnipotente e misericordioso, che ai popoli dell’Asia hai portato il lieto annuncio del Cristo tuo Figlio con la predicazione missionaria e il martirio del Beato Giovanni Battista [Zola], per sua intercessione concedi anche a noi di essere sempre radicati e fondati nella fede. Per il nostro Signore.


Beatificazione di suor Lucia Ripamonti

Appuntamenti per la beatificazione di suor Lucia Ripamonti, organizzati dalle Ancelle della Carità e dalla Diocesi di Brescia:

  • Sabato 16 ottobre 2021 alle ore 20.30 nel Salone Ferramola (via Moretto 16 a Brescia) – Elevazione spirituale in preparazione alla beatificazione
  • Venerdì 22 ottobre alle ore 20.30 nella basilica di S. Maria delle Grazie – Preghiera “Ora decima” nella vigilia della beatificazione
  • Sabato 23 ottobre alle ore 10.00 nella Cattedrale di Brescia – S. Messa di Beatificazione presieduta da S. Em.za Re.ma Cardinal Marcello Semeraro, Rappresentante del Santo Padre; che verrà trasmessa su Teletutto (12), Video Brescia (273) oppure in diretta streaming:

  • Domenica 24 ottobre, ore 18.30 nella chiesa di S. Lorenzo (via Moretto 55 a Brescia) – S. Messa di Ringraziamento presieduta dal Vescovo Pierantonio Tremolada. In diretta streaming:


Beati Giovanni Bodeo e compagni, martiri

Giovanni Bodeo, fratello laico dei Frati Minori proveniente da Mompiano, ortolano e aiuto sacrista nel Convento di S. Maria della Neve a Praga, nel 1604 si trovò coinvolto nell’assedio della città durante la guerra boema. Il mattino del 15 febbraio 1611, mentre le truppe cattoliche si introducevano nella città, il convento e la chiesa furono assaliti da una folla inferocita. I quattordici religiosi affrontarono coraggiosamente il comune martirio, attestando la loro fedeltà a Cristo. Insieme ai suoi compagni fra’ Giovanni è stato beatificato il 13 ottobre 2012. Le sue reliquie sono venerate nel convento di S. Maria della Neve a Praga.

Dal Comune dei martiri: per più martiri o dal Comune dei santi e delle sante: per i religiosi, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dalla «Passione dei martiri» scritta da Mariano de Orscelar, presbitero (Chronica, Ingolstadii 1625, cap. XXXI, pp. 522-527)

Al pascolo del Buon Pastore la morte non ha alcun potere

La Chiesa universale ha finora venerato quattordici santi ausiliatori, ciascuno per una specifica protezione, ed ora anche quella Chiesa più piccola che è la famiglia dei Minori, si è resa meritevole della nostra commossa memoria, piena di compassione, per quattordici intercessori di tutto l’impero, rivestiti d’innocenza, ammirevoli senza pari nella regia città di Praga in Boemia. Crescevano a quel tempo sospetti, risse, dispute, duelli, giuramenti e pubbliche provocazioni. Cresceva anche l’ardire e cresceva il numero di individui armati che, impugnando ciò che l’ira metteva loro a disposizione, assetati soltanto del sangue dei cattolici, piombavano sui luoghi sacri minacciando con l’aspetto, con i gesti e con le parole una spietata strage. Come leoni feroci a caccia di preda, irrompendo in ordine sparso in chiese e conventi in un’unica massa furiosa composta da migliaia di persone, scelsero per compiere l’efferato delitto la chiesa di Santa Maria della Neve, dove i Frati Minori della stretta osservanza brillavano notoriamente per la loro alta santità di vita. V’era tra quella folla chi fomentava l’ira sanguinaria contro i nostri Padri asserendo che quella razza di mendicanti s’introduceva nelle dimore regali come pure nelle case dei cittadini, infiammavano l’animo dei magnati alla lotta e a venire meno alla fedeltà che avevano pubblicamente prestato adducendo subdole lettere e si dava da fare per annientare la confessione evangelica. Il reverendo vicario del Convento, informato dell’iniqua congiura, con molto ardore esortava i suoi amati padri e frati alla palma del martirio, cosicché, dopo essersi abbracciati gli uni gli altri, e aver versato molte lacrime, compiuto il rito della penitenza e rinfrancati al banchetto di vita, si spronavano e si incoraggiavano a vicenda a nutrirsi nell’altro mondo – laddove la morte violenta non ha potere – al pascolo del Buon Pastore, con il copioso cibo della consolazione dell’Agnello: pieni di gioia e di fiducia comprendevano che avrebbero ricevuto nei cieli a loro perenne conforto il premio della gloria eterna, di gran lunga superiore alla moltitudine delle pene che durano un solo istante.
I soldati di Cristo restavano saldi in questo legame di pietà fraterna, quando la folla scalmanata di quegli omicidi, facendo irruzione nel luogo sacro a Dio, infranse dapprima le porte del convento, come se si stesse avventando contro un nascondiglio di predoni, senza però riuscire in alcun modo ad aprirlo, poi con brutale accanimento e sfrenata avidità volse ad impossessarsi degli arredi liturgici; ma prima, spinta dal desiderio di far scorrere sangue, colpì a colpi di fucile quei frati, alcuni dei quali per umana paura erano saliti fin sul campanile della chiesa di Santa Maria della Neve, facendoli cadere giù dall’alto con un volo spaventoso. Quindi, gettandosi selvaggiamente sui corpi ancora in vita, presero a squarciare in due i moribondi, a conficcare le statue sacre nelle viscere aperte e lacerate, a troncare mani e piedi, e massacrarono cosi i quattordici frati, dei quali soltanto un quindicesimo rimase salvo per caso. Al termine della carneficina, si precipitarono verso il convento e la chiesa, dove sottoposero a sacrilego furto, come prede di uomini folli, non soltanto tutto ciò che fosse suppellettile, ma la stessa venerata custodia in argento dorato del Corpo di Cristo, profanandola come avrebbero fatto i Tartari e gettando a terra il Pane celeste. Infine, depredarono gli utensili appesi alle travi e alle pareti e finanche i chiodi conficcati nel legno.
Ma Dio, che non può essere ingannato, rivelò subito in maniera manifesta con prodigi di gloria i meriti dei suoi amici martiri. Anzitutto, conservò incorrotto il sangue lì sparso dai martiri e rappreso sulla terra, affinché per chi lo avesse visto fosse motivo di compassione e testimonianza dell’innocenza del martirio. Poi a qualche giorno dal sanguinoso eccidio si udì il coro dei martiri che dava l’impressione di salmodiare in quei luoghi l’ufficio notturno con melodia celeste e soavissima; questo poterono constatarlo non soltanto i cattolici, ma fu costretta ad ascoltarlo anche la feccia, rimasta desta, di quella corrotta plebaglia. Infine, nella profonda oscurità della notte, chi vegliava poté vedere, e non una volta soltanto, il campanile di Santa Maria della Neve interamente avvolto di luce e lo sfolgorio di singole fiamme. Rallegrati, o beata innocenza, perché sei ovunque sicura, ovunque illesa, temuta da quanti ti odiano e sempre vittoriosa, anche quando i giudici della terra possano fallire! Questi sono coloro che ti giudicano gareggiando nei cieli, dove con le loro ghirlande e corone di lode non figurano ultimi tra le schiere purpuree dei martiri: la loro candida palma risplende nel novero dei beati, mentre va spargendo sulla terra gigli di incontaminata purezza.

Responsorio – Cfr. Fil 1, 27-29

℞. Comportatevi in modo degno del vangelo di Cristo: state saldi in un solo spirito e combattete unanimi per la fede del Vangelo. * Senza lasciarvi intimidire in nulla dagli avversari.
℣. Perché, riguardo a Cristo, a voi è stata data la grazia non solo di credere in lui, ma anche di soffrire per lui. * Senza lasciarvi intimidire dagli avversari.

Orazione

Dio onnipotente ed eterno, che ai beati Giovanni [Bodeo] e compagni, martiri, hai concesso di vivere nel vincolo della carità di Cristo e di morire in fedeltà alla sua Chiesa, concedi a noi, sul loro luminoso esempio, di superare ogni divisione per essere un cuor solo ed un’anima sola. Per il nostro Signore.


Beata Stefana Quinzani, vergine

Nata a Orzinuovi il 5 febbraio 1457 da famiglia presumibilmente originaria di Quinzano d’Oglio, trascorse la sua vita a Crema, ma soprattutto a Soncino (Cremona). Qui nei primi anni del sec. XVI edificò un monastero del Terz’Ordine Domenicano, ove si raccolse con una ventina di compagne e dove morì il 2 gennaio 1530. Ivi sepolta, le sue spoglie vennero traslate nel 1784 a Colorno (Parma). Oggi sono venerate nella chiesa di S. Giacomo in Soncino. Di una spiritualità non comune, ritenne come sua vocazione specifica l’amore alla croce e alla passione del Signore. Ebbe dono di estasi e di altri fenomeni mistici. Fu onorata in vita di amicizie illustri e fu venerata da eminenti personalità del suo tempo. Di lei ci rimangono varie Lettere, che servono a lumeggiare la sua statura di autentica mistica. Il suo culto venne confermato nel 1740. Il suo corpo è venerato nella chiesa di S. Giacomo a Soncino (Cremona).

Dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dal trattato «L’imitazione di Cristo» (Lib. III, cap. 56)

Portiamo la croce con Gesù

Portiamo la croce con Gesù rinnegando noi stessi. Figlio, tu potrai entrare in me nella misura con cui saprai uscire da te stesso. Come la pace interiore è data dal distacco dalle esteriorità, così l’unione con Dio è il frutto dell’abbandono interno del proprio io: perciò io voglio che tu impari ad abdicare completamente la tua volontà nella mia senza renitenza e senza lamenti. Segui me: «Io sono la via, la verità, la vita» (Gv 14, 6). Senza strada non si va avanti, senza verità non si conosce, senza vita non si vive: e io sono la via che tu devi seguire, la verità a cui devi credere, la vita che devi sperare. Via da cui non si può uscire, verità che non può ingannarsi, vita che non ha fine. Via diretta, verità suprema, vita vera, vita beata, vita increata. Se rimarrai nella mia via, «conoscerai la verità, la verità ti darà la libertà e raggiungerai la vita eterna» (Gv 8, 31-32). «Se vuoi entrare nella vita osserva i comandamenti» (Mt 19, 17). Se vuoi conoscere la verità, credi a me. «Se vuoi essere perfetto, vendi tutto» (Mt 19, 21). Se vuoi essere mio discepolo, rinunzia a te stesso. Se vuoi possedere la vita beata, sprezza la vita presente. Se vuoi essere esaltato in cielo, umilia te nel mondo. Se vuoi regnare con me, porta con me la croce.
Soltanto i servi della croce, infatti, trovano la via della beatitudine e della luce vera. O mio Signore Gesù, poiché la via che tu hai battuto era stretta e spregiata, concedimi che io ti possa imitare anche se il mondo mi disprezzerà. «Il servo non è da più del suo padrone, il discepolo non è da più del maestro» (Gv 13, 16). Che il tuo servo dunque si metta alla scuola della tua vita, in cui sta la salvezza e la vera santità. Tutto quanto leggo o ascolto che non abbia rapporto con essa non mi dà consolazione né gioia completa. Figlio, codeste verità hai letto e ormai conosci: te beato, se saprai metterle in pratica. «Chi conosce i miei comandi e li osserva, è colui che mi ama, ed anch’io lo amerò, e mi rivelerò a lui» (Gv 14, 21), e lo farò sedere con me nel regno del Padre mio.
O Gesù Signore, così, così come hai detto e promesso avvenga; e io abbia la sorte di meritarlo! Ho accettato dalla tua mano la croce; l’ho portata e la porterò fino alla morte, come tu comandasti. La vita del buon religioso è senza dubbio la croce; ma conduce al paradiso. Ho cominciato; non mi è lecito tornare indietro, non mi conviene abbandonarla. Orsù, incamminiamoci insieme, fratelli: Gesù sarà con noi. Per Gesù ci siamo caricati di questa croce, continuiamo a portarla per Gesù. Egli ci aiuterà, Egli che è la nostra guida e ci ha preceduti. Ecco, si mette alla nostra testa il nostro re, che combatterà per noi. Seguiamolo animosamente, nessuno si lasci spaventare, pronti anche a perire nel combattimento; non macchiamo la nostra gloria con il delitto di disertare la croce.

Responsorio – Cfr. Mt 19, 21; 16, 24

℟. Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; * poi vieni e seguimi.
℣. Se vuoi venire dietro a me, rinnega te stesso, prendi la tua croce;
℟. poi vieni e seguimi.

Orazione

O Dio, che attraverso l’amore ardente della croce, hai unito alla Passione del tuo Figlio la beata Stefana [Quinzani], fa’ che, portando la nostra croce quotidiana, diventiamo conformi all’immagine di Cristo. Egli è Dio e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.


Beata Paola Gambara Costa

Nacque a Verolanuova nel 1463 dalla nobile famiglia Gambara. All’età di appena dodici anni, andò sposa al conte Lodovico Antonio Costa e si trasferì nel castello di Bene Vagienna (CN). Qui dovette subire un lungo e doloroso martirio da parte del marito, che la sottopose a prove umilianti. Ella però tutto sopportò con pazienza e fortezza, sostenuta dai suoi direttori spirituali. Ottenuta, con la sua virtù, la conversione del marito, poté liberamente dedicare il resto dei suoi giorni alla preghiera e alla beneficenza, portando anche esternamente l’abito del Terz’Ordine francescano. Morì nel castello di Bene Vagienna il 24 gennaio 1515 e fu subito venerata. Gregorio XVI il 14 agosto 1845 ne approvò solennemente il culto.

Dal Comune dei santi e delle sante: per le sante, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dalla Lettera enciclica Humanae vitae di san Paolo VI, papa (AAS 60 [1968], 485-487)

L’amore coniugale

L’amore coniugale rivela massimamente la sua vera natura e nobiltà quando è considerato nella sua sorgente suprema, Dio, che è «Amore» (cf. 1Gv 4,8), che è il Padre «da cui ogni paternità, in cielo e in terra, trae il suo nome» (Ef 3,15).
Il matrimonio non è quindi effetto del caso o prodotto della evoluzione di inconsce forze naturali: è stato sapientemente e provvidenzialmente istituito da Dio creatore per realizzare nell’umanità il suo disegno di amore. Per mezzo della reciproca donazione personale, loro propria ed esclusiva, gli sposi tendono alla comunione delle loro persone, con la quale si perfezionano a vicenda, per collaborare con Dio alla generazione e all’educazione di nuove vite.
Per i battezzati, poi, il matrimonio riveste la dignità di segno sacramentale della grazia, in quanto rappresenta l’unione di Cristo e della Chiesa.
In questa luce appaiono chiaramente le note e le esigenze caratteristiche dell’amore coniugale, di cui è di somma importanza avere un’idea esatta.
È prima di tutto amore pienamente «umano», vale a dire sensibile e spirituale. Non è quindi semplice trasporto di istinto e di sentimento, ma anche e principalmente è atto della volontà libera, destinato non solo a mantenersi, ma anche ad accrescersi mediante le gioie e i dolori della vita quotidiana; così che gli sposi diventino un cuor solo e un’anima sola, e raggiungano insieme la loro perfezione umana.
È poi amore «totale», vale a dire una forma tutta speciale di amicizia personale, in cui gli sposi generosamente condividono ogni cosa, senza indebite riserve o calcoli egoistici. Chi ama davvero il proprio consorte, non lo ama soltanto per quanto riceve da lui, ma per se stesso, lieto di poterlo arricchire del dono di sé.
È ancora amore «fedele» ed «esclusivo» fino alla morte. Così infatti lo concepiscono lo sposo e la sposa nel giorno in cui assumono liberamente e in piena consapevolezza l’impegno del vincolo matrimoniale. Fedeltà che può talvolta essere difficile, ma che sia sempre possibile, e sempre nobile e meritoria, nessuno lo può negare. L’esempio di tanti sposi attraverso i secoli dimostra non solo che essa è consentanea alla natura del matrimonio, ma altresì che da essa, come da una sorgente, scaturisce una intima e duratura felicità.
È infine amore «fecondo», che non si esaurisce tutto nella comunione dei coniugi, ma è destinato a continuarsi, suscitando nuove vite.

Responsorio – Sir 26, 13. 15-16

℟. La grazia di una donna allieta il marito, il suo senno gli rinvigorisce le ossa. * Grazia su grazia è una donna pudica.
℣. Il sole risplende nel più alto dei cieli, la bellezza di una brava moglie nell’ornamento della casa.
℟. Grazia su grazia è una donna pudica.

Orazione

O Dio, che hai guidato la beata Paola [Gambara] sulla via della santità per mezzo dell’imitazione di Cristo crocifisso, donaci, per la sua intercessione e con il suo esempio, di vivere serenamente le tribolazioni di ogni giorno e, nell’ora della nostra morte, di essere consolati dalla speranza, che viene dalla croce. Per il nostro Signore.


Beata Maria Maddalena Martinengo, vergine

Nata a Brescia nel 1687, da famiglia nobile. Dopo aver ricevuto una distinta educazione nei migliori collegi, superate le difficoltà poste dai suoi familiari, entrò nel monastero delle Cappuccine di S. Maria della Neve nel 1705. Vi rimase fino alla morte, ricoprendovi vari incarichi, tra cui quello di maestra delle novizie. Favorita dai più singolari e spiccati fenomeni mistici, visse i trentadue anni di vita claustrale in lunghe preghiere e asprissime penitenze. Lasciò vari scritti di contenuto ascetico, tra cui una interessante Autobiografia. Morì nel 1737; le sue spoglie riposano ora nel nuovo monastero delle Clarisse Cappuccine di Brescia. Fu beatificata il 3 giugno 1900. Le sue reliquie sono venerate nel Monastero delle Clarisse Cappuccine a Brescia.

Dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dal «Trattato dell’umiltà» della beata Maria Martinengo (Bergamo 2017, 10)

L’anima umile partecipa della santità divina

Dio è santo per essenza, è la santità stessa e sembra che egli si glori e voglia esser lodato per questo suo attributo più che per ogni altro. Possiamo constatare ciò nei sommi spiriti celesti: essi cantano incessantemente «Santo, Santo, Santo», adorano in un immenso silenzio la santità di Dio, si infiammano sempre più del suo amore, e velandosi la faccia, confessano di non essere assolutamente capaci di comprendere la sua santità, di amarla, di lodarla sufficientemente. Però non cessano mai di proclamarla.
In modo simile si comporta l’anima umile. Fissa prima di tutto il suo sguardo nell’umanità sacrosanta di Gesù Cristo, Dio e uomo, e in essa vede l’espressione massima della più alta santità. Se ne forma l’immagine nella mente, formula dentro di sé il proposito di imitarlo, realizza questo proposito con l’azione e si trasforma all’interno e all’esterno imitando Gesù Cristo. Postosi questo divino modello dinanzi agli occhi, cerca di imprimerlo nel cuore, e penetrando in esso con uno sguardo sempre più semplice, contempla una nuova santità; per questo si sente sempre più infiammata dal desiderio di imitarla. E non trovando in sé nessun impedimento, abbandona se stessa ad ogni immagine e figura sensibile e così, spoglia di sé, entra in Dio, il quale la assorbe e la rende santa della propria santità.
Dio stesso desidera che noi acquistiamo una santità eccelsa e ha manifestato questo desiderio dicendo: «Siate santi, perché io sono santo». E Gesù, prima della sua passione, alzando gli occhi e le mani al Padre, pregò così: «Padre santo, santificali nella verità!».
Alzati, dunque, anima mia, e immergiti in quell’oceano di santità, decisa a non ritirartene mai, per diventare santa della santità stessa di Dio! Non posso sopportare le lodi che si fanno a qualche creatura, o perché si distingue per qualche virtù, come per esempio, per l’astinenza o per la mansuetudine, e perché sembra che in tutto si comporti con umiltà. Infatti penso che quell’anima sarà tanto più santa quanto più sarà svuotata di se stessa, perché con quello svuotamento interiore parteciperà di più della santità divina. Ma in verità, mio Dio, tu solo sei santo! Facci tutti santi, o Signore, distruggendo anzitutto in noi tutto ciò che si oppone alla tua santità.

Responsorio – Cfr. 1 Pt 1, 15. 2; 5, 5

℞. Come il santo che vi ha chiamati, diventate santi anche voi in tutta la vostra condotta. * A voi grazia e pace in abbondanza.
℣. Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri.
℞. A voi grazia e pace in abbondanza.

Orazione

O Dio, che nella beata Maria Maddalena [Martinengo] ci offri un esempio mirabile di purezza e di mortificazione, fa’ che usiamo rettamente dei beni della terra e che giungiamo felicemente a te attraverso le vie della verità e della giustizia. Per il nostro Signore.