Benvenuti. L’oratorio e le persone con disabilità

L’oratorio è il luogo dell’accoglienza, dell’incontro e della benedizione. È la locanda che ospita tutti. È il luogo della “rivoluzione culturale” che – ci auguriamo – può diventare modello credibile  per la nostra società. Gesù – buon samaritano – cerca, visita, a tutti si fa prossimo; lui che sempre abbatte i sentieri e rimuove le barriere ideologiche e sociali. Locanda (pandochéion) è il termine greco che usa l’evangelista Luca: vuol dire letteralmente “che accoglie tutti”, “dove tutti sono accolti”. L’oratorio accoglie tutti, perché tutti sono stati cercati, visitati, invitati. Il sogno è che le persone con disabilità siano protagoniste delle nostre realtà e la loro presenza ci ricordi la missione originaria della Chiesa che si rivolge da sempre ai poveri, ai deboli e ai fragili.

Un luogo ospitale

L’ospitalità dell’oratorio non si limita alla buona educazione o alla cortesia verso gli ospiti, ma costituisce un fondamento teologico del suo esserci. Dio è Colui che ci accoglie, la sua paternità è ospitale nei confronti di tutti. L’oratorio abbraccia tutti, perché crede in un Dio che è Padre di tutti e accoglie indistintamente. Un principio teologico che diventa operativo per azioni concrete radicate in motivazioni spirituali profonde.

Uno sguardo nuovo

Lo sguardo comunica molto di quello che si pensa: la diversità ci fa paura. Occorre educare il pensiero, liberarci da alcuni pregiudizi e imparare a guardare l’altro non a partire dal suo limite e dalla sua fragilità, ma dalla sua bellezza, dal suo essere una persona meravigliosa, unica e preziosa; bisogna imparare a scoprire come ci guarda Dio. La sfida è riuscire a cambiare lo sguardo. Accogliere le persone con disabilità è una questione di occhi nuovi perché dipende dalla percezione e dall’atteggiamento che assumiamo nei loro confronti. Com’è il nostro sguardo nei confronti di chi è più fragile? Uno sguardo che esclude, insistente, discriminante, pietoso o indifferente, oppure inclusivo, spontaneo, aperto, empatico e sorridente? Il segreto sta nel mettersi in gioco per entrare in relazione.

Il compito della comunità

Chi deve attivare dinamiche e percorsi di inclusione? Tutti. È la comunità che offre mani operose e cuore sensibili. È il nostro compito. L’inclusione diventa così un’arte delicata e artigianale, fatta di gesti e pensieri che permettono all’altro di vivere e abitare gli ambienti serenamente; passa attraverso la costruzione di un contesto promettente che trasmetta vita e autenticità. L’accoglienza nella Chiesa della sinodalità non può mancare perché ne esprime la verità e fa percepire il profumo del Vangelo (cfr. Lettera Pastorale 2023-24 del vescovo Pierantonio Tremolada “Uomini e donne in cammino”). A ciascuno di noi è consegnata la grande responsabilità, personale e comunitaria, che cambia il senso e il significato della vita: possiamo essere promotori di percorsi di sostegno e speranza che aiutano le persone a realizzarsi come uomini e donne oppure, al contrario, diventare elementi che ostacolano questo percorso di realizzazione umana.

Passi possibili

Un approccio che valorizza l’inclusione inizia con il riconoscimento che ogni individuo ha qualcosa di unico e prezioso da offrire alla comunità. Uno sguardo inclusivo non si sofferma su ciò che manca o su ciò che è diverso, ma piuttosto celebra la diversità come una ricchezza e una fonte di arricchimento per tutti. Bisogna creare ambienti, opportunità e risorse che permettano alle persone con disabilità di partecipare pienamente alla vita sociale, educativa e oratoriana. Si tratta di ascoltare le loro esigenze, comprendere le loro sfide e lavorare insieme per superare gli ostacoli che impediscono la piena partecipazione.

Progettazione universale

Uno dei modi più efficaci e semplici per andare nella direzione di un approccio sempre più inclusivo nei nostri oratori è quello che prende il nome di “progettazione universale”. Quando
parliamo di progettazione universale stiamo pensando a progetti che siano già adatti a tutte le persone, in modo da evitare – anche a livello progettuale – la distinzione tra chi ha una disabilità
e chi è senza disabilità. È più semplice agire così, piuttosto che fare progetti da modificare in seconda battuta, sulla scorta delle difficoltà di chi partecipa. Per esemplificare cosa si intende per
progettazione universale in oratorio pensiamo a – in fase di ristrutturazione – a mettere una rampa adatta alle persone in sedia a rotelle, oppure allo scrivere il numero dei piani in modo semplice e con la scrittura che sia leggibile anche da chi non vede, mettere cartelli semplici, scrivere le parole con caratteri più grandi in modo che tutti possano leggere chiaramente, segnare gli ambienti con la CAA (comunicazione alternativa e aumentativa) e tante altre accortezze utili e fruibili per tutti. Attraverso piccoli gesti, parole di incoraggiamento e azioni concrete di  sostegno, possiamo tutti contribuire a fare la differenza.

Non basta la buona volontà

L’accompagnamento e la cura dei ragazzi, e in particolare dei ragazzi che presentano delle fragilità, non possono essere basati solo sulla buona volontà, la premura e la disponibilità. Sempre più spesso catechisti ed educatori avvertono la necessità di una formazione specifica, a sostegno del loro servizio, che indichi un serio orientamento ed eviti l’improvvisazione. È necessario oggi gestire la complessità delle situazioni stabilendo legami con il territorio e con le associazioni formando una rete di collaborazione e mutuo aiuto. È importante chiedere aiuto e beneficiare delle competenze e della generosità altrui per una condivisione fattiva. Anffas Brescia, in collaborazione con il Comune di Brescia, con Fobap, con l’Ufficio Scolastico territoriale e con il nostro Centro Oratori ha avviato un processo virtuoso di sensibilizzazione costruendo un volantino destinato agli enti per la raccolta delle buone prassi in essere e uno destinato alle famiglie con le indicazioni normative e le possibilità che i nostri territori offrono. È sempre opportuno, inoltre, coinvolgere l’ente pubblico di fronte a progetti di inclusione – a volte anche molto semplici – ma che necessitano di essere sostenuti, anche economicamente. Infine, di fronte soprattutto a progetti specifici (penso ad esempio al Grest, ma anche ai doposcuola, etc), nei quali è necessario
prevedere la presenza di personale qualificato che possa accompagnare in modo professionale i ragazzi con disabilità è bene attivarsi per tempo, con le famiglie e nella ricerca degli educatori: uno dei temi particolarmente delicati degli anni che stiamo vivendo riguarda proprio la disponibilità di figure educative competenti che possa aiutarci nel sostenere la presenza di ragazzi che necessitano di un accompagnamento.

Comunità educative capaci di accogliere

Siamo chiamati insieme a edificare comunità educanti capaci di accogliere tutti i ragazzi, soprattutto i ragazzi che hanno qualche fragilità e fatica per mostrare al mondo e alla società la profezia di una nuova umanità. L’oratorio diventa così una palestra e un laboratorio di cura e di prossimità dove l’altro è un dono da accogliere, valorizzare e da benedire.