S. Messa Crismale 2023

Cattedrale | Giovedì Santo 6 aprile 2023

Carissimi presbiteri e diaconi,

il Signore mi ha fatto grazia di tornare a vivere con voi questa celebrazione a tutti tanto cara e tanto suggestiva. Gli sono profondamente riconoscente. Vi saluto con affetto e colgo l’occasione per rinnovarvi il ringraziamento per il servizio da voi reso nell’esercizio del vostro prezioso ministero. In questo momento ci sentiamo più che mai parte della santa Chiesa, popolo da lui scelto e consacrato, segno e strumento di quella comunione che da sempre Dio desidera per l’intera umanità, tempio dello Spirito santo destinato ad offrire al mondo una singolare anticipazione della santa Gerusalemme.

L’esperienza che ho vissuto a causa della mia malattia e l’esito positivo che essa sinora ha avuto, mi hanno condotto in questi mesi a meditare su un aspetto della nostra vita e della vita della Chiesa che ormai mi appare come assolutamente determinante, prima e al di là di tutti gli interrogativi e le giuste attenzioni che questo momento storico ci richiede. Vorrei condividere oggi con voi qualche pensiero su questo punto che sempre più mi si presenta come cruciale. Mi riferisco alla centralità della fede e alla necessità di orientare oggi l’intera pastorale a partire da essa.

La Parola di Dio non si stanca di richiamare l’importanza essenziale della fede. Dalla Lettera agli Ebrei la fede viene presentata come ciò che ha reso uomini e donne totalmente accetti a Dio.  Si legge in questo testo della Scrittura: “La fede è il fondamento di ciò che si spera e prova di ciò che non si vede. Per questa fede i nostri antenati sono stati approvati da Dio” (Eb 11,1-2). Tutto l’AT è posto così sotto il segno del primato della fede.

Nel NT la fede si concentra sulla persona di Gesù, sulla sua accoglienza, sulla disponibilità a lasciarsi ammaestrare da lui, a lasciarsi condurre da lui nel segreto della sua persona e della sua missione. Ai Giudei che gli domandano: “Che cosa dobbiamo compiere per fare le opere di Dio?”, Gesù risponde: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29). Presentandosi dopo la sua risurrezione ai discepoli riuniti, Gesù a si rivolge a Tommaso – che non aveva accolto la testimonianza degli altri – e gli raccomanda con dolce fermezza: “Non essere incredulo ma credente” (Gv 20,27), lasciati portare oltre i confini di ciò che puoi vedere e conoscere. In realtà sin dall’inizio del suo ministero Gesù domanda che si creda in lui.  Presentandosi pubblicamente e avviando la sua missione lungo le strade della Galilea, egli dichiara: “Il Regno di Dio si è fatto vicino. Convertitevi e credete al Vangelo” (Mc 1,14-15). Credete al Vangelo! La lieta notizia da accogliere è quella del Regno di Dio, cioè della sua potenza regale e misericordiosa, che in Gesù si fa vicina all’umanità. La forma nuova della fede diventa così quella della sequela di Gesù, del lasciarsi condurre da lui, del camminare dietro a lui. C’è un mistero nascosto nella sua persona che è tutto da scoprire e a cui dovrà d’ora in avanti indirizzarsi la fede di tutti.

L’essenza della fede – ci dice sempre la Parola di Dio – è la fiducia, la piena disponibilità nei confronti di colui che ci viene incontro e ci chiama. La condizione della fede è la libertà interiore, l’essere disposti a oltrepassare i confini delle proprie convinzione e delle proprie attese, del proprio sentire e sapere, tendendo la mano a colui che ci condurrà dove non immaginiamo, cioè nel mondo nuovo del Regno di Dio. San Paolo ci ricorda che in Cristo ormai tutto è nuovo e tutto deve essere scoperto nella sua vera identità (cfr. 2Cor 5,17). Credere è lasciarsi guidare con fiducia nel nuovo della redenzione, camminare con il Cristo salvatore nell’eterno che è già presente nel mondo attuale, in un terreno immenso di bene che si è aperto con la resurrezione del Messia. “Quelle cose che occhio non vide, né orecchio udì – scrive san Paolo ai Corinzi citando Isaia – né mai entrarono in cuore di uomo, Dio le ha preparate per coloro che lo amano” (1Cor 2,9).  Credere è consegnarsi a lui, seguirlo non più lungo le vie della Galilea ma nel travagliato percorso della storia, lasciare che sia lui a svelarci il senso di ciò che accade, disporsi a riconoscere nel mondo i segni della sua risurrezione, senza pretendere che essi coincidano con le nostre aspettative.

Un punto in particolare mi preme sottolineare, cioè il fatto che la fede porta con sé, come un suo frutto prezioso, il superamento del senso di insicurezza e di instabilità. Quando Acaz, il re di Gerusalemme al tempo di Isaia, si trova davanti la minaccia della guerra e si rende conto che i due re coalizzati contro di lui sono decisamente più forti, entra in agitazione. Il profeta gli va incontro e lo invita a fidarsi di Dio, ma capisce che il re, in preda alla paura, sta coltivando altri pensieri. Gli dice allora: “Se non crederete non resterete saldi!” (Is 7,8), una frase che potremmo così parafrasare: “L’ansia che ti rende instabile e incerto si vince solo con la fede nel Signore; ogni decisione va presa a partire da qui”. Il senso di incertezza e la paura del futuro si superano con la fede, per noi la fede nel Cristo morto e risorto, il Signore di tutti. La fede è certo capace di vincere la tentazione della stanchezza, del disorientamento, dell’incertezza. Essa, infatti, orienta il nostro sguardo sul mistero di Cristo, sul Regno di Dio all’opera nel mondo; mantiene vivo il senso di stupore davanti al bene nascosto, la commozione di fronte a ciò che Dio ha voluto per noi, la convinzione che “nulla ci potrà mai separare dall’amore di Cristo”.

Il momento che anche noi stiamo vivendo è profondamente segnato dall’incertezza. Noi stessi siamo piuttosto disorientati – è giusto riconoscerlo. Ma non possiamo sfidare l’incertezza facendo semplicemente appello alle nostre forze. Noi crediamo in Cristo Gesù nostro Signore. Lui è il fondamento della nostra speranza e da lui deriva il nostro modo di guardare la realtà in cui viviamo. Tutto parte da qui. Come dicevo ai giovani nella Veglia delle Palme, siamo chiamati a ripetere con S. Ambrogio che “Cristo è tutto per noi”. Dobbiamo dichiaralo sapendo tuttavia che del mistero di Cristo noi conosciamo ben poco, della sua altezza, larghezza, altezza e profondità. Credere è anche lasciarsi condurre alla conoscenza dell’immenso dono di grazia che è la persona stessa di Gesù, il Cristo redentore, e comprendere in che senso e in che modo l’intera storia trova in lui la sua verità. La storia stessa ci insegna chi è il Cristo, ci fa crescere nella fede in lui. I grandi fenomeni, i grandi processi, quelli che anche noi viviamo in questo momento, le grandi trasformazioni, sono dentro il mistero di Cristo e quindi la fede consente di affrontarli senza ansia. Il Cristo – ci ricorda il Libro dell’Apocalisse – non è semplicemente parte della storia: ne è il principio e la fine, colui che la abbraccia nella sua totalità e che ormai l’ha segnata con il suo mistero pasquale. Egli viene a noi ogni giorno come l’Agnello di Dio vincitore. Credere che questo sia vero, sentirlo nel profondo del cuore, gustare la dolcezza di questa verità è ciò che siamo chiamati a fare. In questo modo la fede ci darà stabilità, ci manterrà nella pace.

Sul versante ecclesiale eventi importanti stanno catalizzando la nostra attenzione: il processo di costituzione delle Unità pastorali, la pastorale vocazionale chiamata ad affrontare la sfida della riduzione del numero dei presbiteri e dei consacrati, la ridotta partecipazione alla celebrazione domenicale dell’Eucaristia, l’Iniziazione Cristiana dei ragazzi, il carico amministrativo delle parrocchie e la questione del futuro delle strutture parrocchiali. Più in generale, ci interpellano le grandi sfide del momento: la povertà e l’ingiustizia che continuano a dilagare, la guerra che continua a ferire l’umanità, la delicata situazione delle famiglie, l’emergenza educativa, il fenomeno complesso della immigrazione, il confronto con la cultura attuale e l’innovazione scientifica, il mondo dei media e dei social, la sfida epocale dei cambiamenti climatici. Se di fronte a questo scenario complesso, mi chiedessero che cosa ritengo essenziale per la Chiesa in questo momento, non avrei dubbi: ritengo essenziale la fede. La prima necessità della Chiesa oggi più che mai è di avere presbiteri, diaconi, religiosi e religiose, laici che siano dei veri credenti, che abbiamo incontrato il Cristo e lo abbiamo accolto come il Signore della loro vita e della storia. Veri discepoli nell’oggi, che conoscono il significato consolante di queste sue parole: “Io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo” (Mt 28,20), e di queste altre ancora: “Vi ho detto queste cose perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo” (Gv 16,33). Una invocazione mi nasce nel cuore, che fa eco alle parole del padre di quel ragazzo epilettico che Gesù guarisce. Rivolgendosi a Gesù che lo invita a credere anche a ciò che sembra impossibile egli dice: “Io credo Signore, tu aiuta la mia incredulità”. Sia questa anche la nostra invocazione.

+ Pierantonio Tremolada