S. Messa Crismale

Brescia, Chiesa Cattedrale | Giovedì 1 aprile 2021

 

 

Carissimi presbiteri e diaconi

anche quest’anno la situazione che stiamo vivendo ci obbliga a limitare il numero delle presenze, qui nella nostra cattedrale, in occasione della Messa Crismale. Ci sentiamo tuttavia profondamente uniti, oltre i limiti dello spazio, in questa celebrazione che ci introduce al triduo santo e insieme ci fa sentire parte di una Chiesa diocesana viva e santa. Alle comunità che la compongono verranno infatti destinati i santi oli che consacreremo e voi, cari presbiteri e diaconi, come loro pastori e servitori, sarete invitati a rinnovare l’adesione a quel ministero che in questi santi oli ritrova il suo segno sacramentale. Consacrati nel sacramento dell’ordine, tutti noi – anch’io con voi – siamo stati posti nella Chiesa come servi di Cristo e amministratori dei misteri Dio. Un sentimento di profonda gratitudine ci nasce nel cuore quando pensiamo alla condiscendenza di Dio nei nostri confronti, insieme alla chiara coscienza delle nostre manchevolezze e fragilità.

Viviamo questo momento di grazia e la stessa memoria liturgica della Passione e Risurrezione del Signore nel tempo del Giubileo delle Sante Croci. Le circostanze ancora drammatiche che segnano questo momento non devono farci dimenticare il dono che abbiamo ricevuto e al quale vogliamo attingere. L’arco dei giorni del Giubileo è stato infatti esteso fino al prossimo 14 settembre e nei mesi a venire noi vorremmo ridare impulso alla giusta pietà verso il mistero della santa croce, onorando le reliquie custodite nel nostro Duomo e facendo memoria del quinto centenario della costituzione della Compagnia delle Sante Croci.

La croce ha segnato profondamente la vita della nostra Chiesa diocesana in questo ultimo anno. La sofferenza, il dolore, la paura, il senso di smarrimento si sono subito diffusi tra la nostra gente insieme a primi contagi. Ora a dominare sono la stanchezza, la fatica e l’incertezza del futuro. Siamo – potremmo dire – anche noi ai piedi della croce, uniti alla Madre del Signore e al discepolo che egli amava. “Stavano presso la croce di Gesù – leggiamo nel IV Vangelo – la madre di Gesù, la sorella di sua madre, Maria madre di Cleopa e Maria di Magdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: «Donna, ecco tuo figlio!». Poi disse al discepolo: «Ecco tua madre!». E da quell’ora il discepolo l’accolse con sé” (Gv 19,27-27). Il discepolo che Gesù amava accoglie in dono sul Calvario la madre di Gesù come madre sua. In verità, egli rappresenta in quel momento l’intera comunità dei credenti: da quel momento la madre di Gesù diviene la madre di tutti noi.

Ho molto pensato in questi ultimi giorni al discepolo che Gesù amava. L’ho sentito molto vicino a noi, chiamati a vivere il tempo di prova che ben conosciamo. Ho pensato che come lui anche noi ci troviamo nella condizione di vivere molto più da vicino il dramma della Passione del Signore e insieme di riconoscere la sua meravigliosa opera di redenzione. Vorrei chiedere a lui di intercedere a nostro favore perché ci sia dato di condividere il suo sguardo, la sua conoscenza, la sua testimonianza. Sono convinto che, come ministri della Chiesa, abbiamo particolarmente bisogno di questi occhi nuovi, con i quali accostarci al mistero della croce.

Il discepolo amato si trova con la madre di Gesù ai piedi della croce perché ha avuto il coraggio di giungervi. Degli altri nessuno è arrivato fin lì. Egli è riuscito a farlo in forza di una singolare esperienza di amore. Il Signore lo ha particolarmente amato, elevandolo alle altezze di una conoscenza unica e rendendolo partecipe di singolari confidenze. Durante l’ultima cena egli posa il capo sul petto di Gesù e viene a sapere da lui chi sarà il suo traditore (cfr. Gv 13,21-30). Ora, ai piedi della croce, è spettatore degli eventi che portano a compimento la testimonianza del redentore. Lo vede spirare dopo aver ricevuto l’aceto (Gv 19,28-29). Ascolta le sue ultime parole: “Tutto è compiuto” (Gv 19,30).  Vede i soldati che spezzano le gambe agli altri due crocifissi ma non a lui. Vede che il petto di Gesù, quel petto su cui egli aveva posato il capo nell’ultima cena, viene trafitto dalla lancia e vede sgorgare da quella ferita il sangue e acqua. Vede e, per la grazia a lui riservata, comprende. È in grado di leggere i segni e così consegna la sua dichiarazione: “Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto” (Gv 19,35-37). Riconosce dunque in Gesù il vero agnello pasquale, a cui non viene spezzato alcun osso, e il Messia respinto, che fa dono all’umanità della vita eterna. L’acqua unita al sangue è qui il segno di una sorgente rigenerante, offerta all’umanità stanca e assetata: “Quando sarò innalzato da terra – aveva detto Gesù – io attirerò tutti a me” (Gv 12,32)

Questa è l’esperienza del discepolo amato. Il suo sguardo è capace di sondare l’invisibile, avvicinandosi in modo singolare al cuore di Cristo. Egli può dire perciò che tutta la vita di Gesù è stata un unico grande atto d’amore, che la sua morte in croce ne rappresenta il culmine e che il gesto del lavare i piedi ai discepoli ne costituisce un’anticipazione: “Prima della festa di Pasqua – si legge nel IV Vangelo – Gesù, sapendo che era venuta la sua ora di passare da questo mondo al Padre, avendo amato i suoi che erano nel mondo, li amò fino alla fine (Gv 13,1).

Il discepolo amato è colui che intuisce la vera origine di questo amore trasformante. La riconosce nel desiderio da sempre presente in Gesù: “Padre, voglio che quelli che mi hai dato siano anch’essi con me dove sono io, perché contemplino la mia gloria, quella che tu mi hai dato; poiché mi hai amato prima della creazione del mondo” (Gv 17,24). Egli sa bene che la risposta all’amore non può che essere l’amore: “Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri” (Gv 4,11). È l’unico a riferire le parole con Gesù consegna a suoi il nuovo comandamento: “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,34-35).

Dal discepolo amato riceviamo dunque una duplice preziosa testimonianza: quella dell’amore contemplativo e dell’amore fraterno. Il primo sorgente del secondo; il secondo attestazione del primo. L’uno non esiste senza l’altro, perché la testimonianza d’amore che i credenti si scambiano è il frutto dell’amore stesso di Gesù offerto loro nel sacrificio della croce: “Io sono la vite e voi i tralci – aveva detto Gesù – rimanete in me e io in voi … Rimanete nel mio amore” (Gv 15,1.9) . Primato della grazia e amore vicendevole: ecco la sintesi della rivelazione di Gesù secondo il Vangelo del discepolo amato, quel Vangelo che trova eco nella prima lettera di Giovanni: “Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo (1Gv 4,19). E ancora: “In questo sta l’amore: non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi e ha mandato il suo Figlio come vittima di espiazione per i nostri peccati. Carissimi, se Dio ci ha amati così, anche noi dobbiamo amarci gli uni gli altri. Nessuno mai ha visto Dio; se ci amiamo gli uni gli altri, Dio rimane in noi e l’amore di lui è perfetto in noi (1Gv 4,10-12).

Qui vedo ben espressa quella essenzialità a cui ho voluto richiamare nella lettera pastorale di quest’anno. “Avrei tanto desiderio – scrivevo – che riuscissimo a dar vita ad una pastorale di affidamento alla grazia di Dio, che punta sull’energia dello Spirito e le permetta di dispiegarsi anzitutto nei cuori”. E quanto all’amore vicendevole: “Ecco dunque che cosa siamo chiamati anzitutto a testimoniare come discepoli del Signore. L’essenziale della vita cristiana sta qui: nel mostrare che la vita e l’amore sono la stessa cosa, che l’una rivela l’altro a fondamento di se stessa. Qui sta l’essenza dell’evangelizzazione e questa è la missione della Chiesa” (Non potremo dimenticare, nn. 35.42.)

A noi, ministri di Cristo per la santificazione della sua Chiesa è chiesto in particolare di accogliere la testimonianza del discepolo amato. Prima di tutto a noi – mi sentirei di dire – è rivolto il suo duplice invito, accorato e fermo: “Siate uomini di fede, aperti alla sua rivelazione segreta: siate testimoni e maestri di un amore contemplativo e fraterno”. Ci è chiesto anzitutto di guardare a colui che è stato trafitto, di lasciarsi attirare al suo cuore, di permettere alla sua luce di vincere l’accecamento del mondo che spesso ci colpisce. Dobbiamo – come ci invita a fare la Lettera agli Ebrei – tenere fisso lo sguardo su Gesù (cfr. Eb 12,1-2), lasciare che la sua luce ci trasfiguri, rendendoci – come scrive san Paolo ai Corinzi – ministri adatti di una Nuova Alleanza, non della lettera ma dello Spirito (cfr. 2Cor 3,4-6).

Dalla contemplazione del mistero di grazia che ci ha raggiunto e ci ha riscattato, quel mistero di grazia che ci rendi forti nelle prove e ricolmi di una gioia sconosciuta al mondo, deriverà il nostro impegno a vivere l’amore fraterno. Anzitutto tra ministri della Chiesa e in particolare tra presbiteri, come ricorda e raccomanda il Concilio Vaticano II nella Presbyterorum Ordinis: “Tutti i presbiteri, costituiti nell’ordine del presbiterato mediante l’ordinazione, sono uniti tra di loro da un’intima fraternità sacramentale; ma in modo speciale essi formano un unico presbiterio nella diocesi al cui servizio sono ascritti sotto il proprio vescovo. Infatti, anche se si occupano di mansioni differenti, sempre esercitano un unico ministero sacerdotale in favore degli uomini”.

Sappiamo bene, perché l’esperienza ce lo insegna, che il fondamento di una pastorale di comunione è la comunione tra i presbiteri. L’invito ad amarsi gli uni gli altri il Signore lo rivolge anzitutto ai Dodici, cioè a coloro avranno autorità apostolica. Amiamoci dunque gli uni gli altri, come ministri della Chiesa. Offriamo un esempio di fraternità al popolo di Dio. Questo farà tanto bene alla Chiesa. Stimiamoci a vicenda. Combattiamo ogni forma di gelosia. Non giudichiamoci. Piuttosto correggiamoci a vicenda con schiettezza e carità. Impariamo anche a condividere ciò che come ministri portiamo nel cuore: sfruttiamo i momenti di ritiro per scambiarci parole che abbiamo l’aspetto di preziose confidenze spirituali. Non temiamo di raccontare ai confratelli di ministero l’opera della grazia di Dio nella nostra vita. Coltiviamo il gusto di una progettualità condivisa. Non lasciamoci tentare dal protagonismo, ma camminiamo insieme e insieme operiamo come umili servitori del Vangelo della carità.

Come ministri eletti da Dio siamo anche chiamati a promuovere l’amore fraterno nelle comunità cristiane. Le nostre parrocchie dovranno sempre più assomigliare alla prima comunità di Gerusalemme, di cui si dice nel Libro degli Atti degli Apostoli che quanti vi appartenevano avevano un cuore solo e un’anima sola (cfr. At 4,32) Questa è la direzione nella quale dobbiamo camminare, perché questo è l’essenziale di una vita cristiana: la carità fraterna. Il futuro delle parrocchie è nelle mani di coloro che ne fanno parte, ai quali sarà chiesto sempre più di assumere responsabilità rilevanti, in spirito di servizio e in atteggiamento di grande umiltà. Ognuno dovrà farsi carico del bene di tutti, mettendo a disposizione ciò che ha e ciò che è. Così la Chiesa si manterrà viva in ogni angolo del nostro territorio, nelle comunità grandi o piccole che la compongono. Sarà una Chiesa sempre più ministeriale, nella quale ognuno potrà offrire con generosità e con gioia, il proprio prezioso contributo, come insegna l’apostolo: “Poiché, come in un solo corpo abbiamo molte membra e queste membra non hanno tutte la medesima funzione, così anche noi, pur essendo molti, siamo un solo corpo in Cristo e, ciascuno per la sua parte, siamo membra gli uni degli altri” (Rom 12,4-5). Alla base di questa comunione nella responsabilità ci sarà sempre l’esperienza di grazia di cui si è detto e i cui cardini sono ben indicati nel passo del Libro degli Atti che descrive la vita della prima comunità cristiana: “Erano perseveranti nell’insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere”(At 2,42).

Il momento che stiamo vivendo ci sta poi indicando chiaramente che esiste un’altra direzione nella quale muoverci per vivere la fraternità cristiana: quella delle comunione tra parrocchie. È giunto il tempo in cui guardare alle parrocchie che si trovano sul nostro territorio come a “Chiese sorelle”. Ciascuna di esse avrà bisogno di aprirsi di più a quelle vicine. A ministri ordinati è chiesto di assumere consapevolmente e responsabilmente anche questo compito, aiutando le proprie comunità cristiane a recepire un vero e proprio segno dei tempi. Non si tratta di subire tristemente un processo inesorabile, ma di accogliere l’invito dello Spirito del Signore. Siamo chiamati ad attuare coscientemente una pastorale di comunione, che guardi alla distribuzione della Chiesa sul territorio non in un’ottica di pura organizzazione o di gestione delle strutture, ma nello spirito che è proprio del Vangelo della salvezza. Così dovremo guardare alle Unità Pastorali e alle Zone Pastorali, così dovremo pensarle, come forme nuove di fraternità tra le parrocchie che sul territorio formano la grande Chiesa diocesana.

Amore contemplativo e amore fraterno, queste due anime della carità divina, che il Signore Gesù ha fatto scaturire dalla sua croce santa e che nella potenza dello Spirito è divenuta energia di grazia, plasmino il nostro ministero a favore della Chiesa. Al discepolo amato, che di questa carità fu singolare testimone, alla sua intercessione, affidiamo il nostro cammino di discepoli e di apostoli. La Beata Vergine Maria, che insieme a lui stette ai piedi della croce, ci custodisca amorevolmente e sostenga il nostro ministero, perché tutto in noi si compia sempre e solo a lode e gloria di Dio e in piena adesione alla sua volontà. Egli vive e regna nei secoli dei secoli. Amen.