Santi Faustino e Giovita, Martiri

Forse per iniziativa del vescovo san Latino (sec. IV), sorse a Brescia sulla via Cremonensis nei pressi di un cimitero un luogo di culto legato alla presenza delle reliquie dei martiri Faustino, Giovita e Afra, dei quali si ignora la provenienza e che la tradizione ha in seguito connotato come martiri di origine bresciana, ivi uccisi e sepolti. L’esistenza di un santuario martiriale di S. Faustino ad sanguinem è comunque piuttosto antica: ne parla san Gregorio Magno nei suoi Dialoghi (sec. VI). Nel IX secolo i corpi dei martiri Faustino e Giovita furono trasportati nella chiesa di S. Faustino Maggiore a Porta Pile, dove si trovano tuttora. Il culto di Faustino e Giovita a Brescia si sarebbe diffuso intorno al VI secolo.
A partire dal 1485, in sostituzione dei Santi Vescovi Filastrio e Apollonio, i martiri Faustino e Giovita sono considerati patroni della Diocesi e della città. Le loro reliquie sono venerate nell’omonima chiesa a Brescia.

Dal Comune di più martiri.

Dove si celebra la solennità

Primi Vespri

Ant. al Magn. Faustino e Giovita sono accolti in cielo
tra le lodi degli angeli.
Esultiamo e rallegriamoci nel celebrare questo giorno santo.

Invitatorio

Ant. Venite, adoriamo il re dei martiri, Cristo Signore.

Salmo invitatorio come nell’Ordinario.

Ufficio delle letture

Prima lettura

Dalla lettera ai Romani di san Paolo, apostolo (8, 18-39)

Nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio, in Cristo Gesù

Fratelli, io ritengo che le sofferenze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria futura che sarà rivelata in noi. L’ardente aspettativa della creazione, infatti, è protesa verso la rivelazione dei figli di Dio. La creazione infatti è stata sottoposta alla caducità – non per sua volontà, ma per volontà di colui che l’ha sottoposta – nella speranza che anche la stessa creazione sarà liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo. Nella speranza infatti siamo stati salvati.
Ora, ciò che si spera, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza. Allo stesso modo anche lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili; e colui che scruta i cuori sa che cosa desidera lo Spirito, perché egli intercede per i santi secondo i disegni di Dio. Del resto, noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono stati chiamati secondo il suo disegno. Poiché quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha anche predestinati a essere conformi all’immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli; quelli poi che ha predestinato, li ha anche chiamati; quelli che ha chiamato, li ha anche giustificati; quelli che ha giustificato, li ha anche glorificati.
Che diremo dunque di queste cose? Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi? Egli, che non ha risparmiato il proprio Figlio, ma lo ha consegnato per tutti noi, non ci donerà forse ogni cosa insieme a lui? Chi muoverà accuse contro coloro che Dio ha scelto? Dio è colui che giustifica! Chi condannerà? Cristo Gesù è morto, anzi è risorto, sta alla destra di Dio e intercede per noi! Chi ci separerà dall’amore di Cristo? Forse la tribolazione, l’angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? Come sta scritto: Per causa tua siamo messi a morte tutto il giorno, siamo considerati come pecore da macello. Ma in tutte queste cose noi siamo più che vincitori grazie a colui che ci ha amati. Io sono infatti persuaso che né morte né vita, né angeli né principati, né presente né avvenire, né potenze, né altezza né profondità, né alcun’altra creatura potrà mai separarci dall’amore di Dio, che è in Cristo Gesù, nostro Signore.

Responsorio – Lc 6, 27-28; Mt 5, 45.48

℞. Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi trattano male * affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli.
℣. Siate perfetti, come è perfetto il Padre, * affinché siate figli del Padre vostro che è nei cieli.

Seconda lettura

Dai «Discorsi» di sant’Agostino, vescovo (Opere, Roma 1986, Discorsi/5, 329, 815-817)

Preziosa è la morte dei martiri comprata con il prezzo della morte di Cristo

A causa delle gesta gloriose dei santi martiri, da cui ovunque fiorisce la Chiesa, con i nostri stessi occhi attestiamo quanto sia vero quel che abbiamo cantato, che «è preziosa davanti al Signore la morte dei suoi Santi» (Sal 115, 15); poiché davanti a noi è preziosa, lo è pure davanti a colui per il nome del quale si verificò. Ma il prezzo di queste morti è la morte di uno solo. L’Uno che morì quante morti acquistò e, se non fosse morto, come si sarebbe moltiplicato il chicco di frumento? Avete ascoltato quali furono le sue parole nell’approssimarsi alla passione, vale a dire, nell’approssimarsi alla nostra redenzione. «Se il chicco di frumento, caduta a terra, non sarà morto, rimane solo, se invece sarà morto, porta molto frutto» (Gv 12, 24-25). Sulla croce egli trattò infatti un grande affare, ivi fu aperto il sacchetto del nostro prezzo: quando fu aperto il suo fianco dalla lancia di chi la vibrò, di lì fece scaturire il prezzo del mondo intero. Furono comprati i fedeli e i martiri: ma la fede dei martiri venne messa alla prova; il sangue è il testimone. Restituirono quel che fu speso per loro, e adempirono ciò di cui parla san Giovanni: «Come Cristo ha dato la vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3, 16). E altrove si dice: «Quando siedi ad una lauta mensa, bada con attenzione a quel che ti si pone davanti, poiché conviene che tu prepari altrettanto» (Prov 23, 1-2). È lauta la mensa, dove le vivande sono il padrone stesso della mensa. Nessuno dà in cibo se stesso ai convitati: Cristo Signore lo fa: egli invita, egli il cibo e la bevanda. Si resero consapevoli, dunque, i martiri di che si nutrivano e che bevevano, al fine di ricambiare tali cose.
Ma come avrebbero potuto ricambiare tali cose se colui che per primo fece le spese non avesse concesso di che ricambiare? Al riguardo, che ci raccomanda nel Salmo, dove abbiamo trovato scritto e abbiamo cantato: «È preziosa davanti al Signore la morte dei suoi santi?» (Sal 115, 15). Là prese a considerare, l’uomo, quanti beni aveva ricevuto da Dio, abbracciò con lo sguardo quanti i doni di grazia dell’Onnipotente, che lo creò, che lo cercò perduto, che perdonò quando l’ebbe trovato, che lo sostenne mentre lottava con le sue deboli forze, che non si sottrasse a lui in pericolo di perdersi, che lo coronò vincitore, che gli diede in premio se stesso. Considerò tutto questo e finì per esclamare: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha ridato?» (Sal 115, 12). Non voleva essere ingrato, voleva ricompensare ma non aveva con che farlo. Non disse: Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha dato, ma: per quanto mi ha ridato. Non ha dato, ma ha ridato. Se ha ridato, da parte nostra avevamo un credito. Veramente il nostro credito erano i nostri mali ed egli ha ridato i suoi beni.
Ha ridato infatti beni per mali, mentre noi potevamo rendere mali per beni. L’uomo cerca perciò cosa possa rendere; è angustiato non trovando come pagare il debito: «Che cosa renderò al Signore per quanto mi ha ridato»? E quasi abbia trovato cosa rendere, dice: «Prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 115, 13). Che vuol dire questo? Intendeva certamente di restituire. Vuole ancora avere: «Prenderò il calice della salvezza». Che calice è questo? Il calice della passione, amaro e salutare: quel calice che l’infermo avrebbe paura di toccare, se non l’avesse già bevuto il Medico. È proprio quello il calice: lo riconosciamo, questo calice, sulle labbra di Cristo che dice: «Padre, se è possibile, passi da me questo calice» (Mt 26, 39). Infatti anche i figli di Zebedeo, per mezzo della madre, pretesero sedi di alto prestigio, in modo da sedere l’uno alla destra, l’altro alla sinistra di Cristo, che replicò loro: «Potete bere il calice che berrò io?» (Mt 20, 22). Voi mirate in alto? È attraversando la valle che si giunge al monte. Volete una sede di grandezza? Bevete prima il calice dell’umiltà. Di questo calice dissero i martiri: «Prenderò il calice della salvezza e invocherò il nome del Signore» (Sal 115, 13). Non temi allora di non riuscirvi? «No», risponde. Perché? Perché «invocherò il nome del Signore». Come potrebbero essere vittoriosi i martiri se in loro non vincesse colui che disse: «Rallegratevi, perché io ho vinto il mondo?» (Gv 16,33). L’imperatore celeste guidava la loro mente e la loro parola e, per mezzo di loro, vinceva il diavolo sulla terra e coronava i martiri in cielo. Beati quanti hanno bevuto così questo calice! Ebbero termine le sofferenze e ricevettero gli onori. Perciò, carissimi, siate vigilanti: considerate con la mente ed il cuore ciò che rimane invisibile all’esterno, e notate perché «è preziosa davanti al Signore la morte dei suoi santi» (Sal 115, 15).

Responsorio – Cfr. Sal 115, 15

℞. Agli occhi del Signore è preziosa la morte dei suoi fedeli.
* Partecipiamo con loro al calice della salvezza e invochiamo il nome del Signore.
℣. Hanno riconosciuto nel pane, colui che fu crocifisso; nel calice, il sangue sgorgato dal suo fianco.
* Partecipiamo con loro al calice della salvezza e invochiamo il nome del Signore.

Inno

Te Deum

Orazione come alle Lodi mattutine

Lodi mattutine

Ant. al Ben. Benedetto il Signore che nella fatica ci dà sollievo,
nella fame ci nutre, nel dolore ci visita.

Orazione

Dio onnipotente ed eterno, che ai santi martiri Faustino e Giovita hai dato la grazia di soffrire per Cristo, sostieni la nostra debolezza con il tuo aiuto: come essi non esitarono a morire per te, così anche noi possiamo vivere da forti nella confessione del tuo nome. Per il nostro Signore.

Ora media

Antifone e salmi del giorno dal salterio, lettura breve dal Comune di più martiri, orazione come alle Lodi mattutine.

Secondi Vespri

Ant. al Magn. Ecco i santi che, per amore di Cristo,
hanno disprezzato le minacce degli uomini.
Ora esultano con gli angeli nel Regno dei cieli.

Orazione come alle Lodi mattutine.

Santi e cavalieri nell’Italia medievale

  Santi e cavalieri nell’Italia medievale – Ponte di Legno- Sala Faustinelli, 4 agosto 2025 , ore 21   Lunedì, 4 agosto 2025 alle ore 21, nell’ambito del Progetto integrato MAB 2025 “Homo Viator”, si svolgerà la conferenza “Santi e cavalieri nell’Italia medievale. Il cammino di sant’Obizio da Niardo tra documenti e devozione” presso la Sala Faustinelli di Ponte di Legno. L’evento, che è anche … Continua a leggere »

Sante Madri e madri santePresentazione mostra Sante madri e madri sante (11-21 maggio 2023)
La mostra documentale Sante madri e madri sante nasce dall’incontro di due progetti: il Progetto
Mater e il Progetto diocesano integratoDonne sante & sante donne. Il prendersi cura di una società
che cambia”.
Il prossimo giovedì 11 maggio, alle ore 17 presso l’Archivio storico diocesano, in occasione del
lancio del Progetto integrato verrà inaugurata anche la mostra: è un’esposizione di documenti che
presenta figure di donne che, tra fine Ottocento e primi del Novecento, fondarono congregazioni
religiose di vario tipo, spinte da una profonda spiritualità che si tradusse in un agire concreto di cura
e attenzione agli ultimi. Non furono solo religiose, ma fu un movimento di donne anche laiche che,
attraverso la loro azione, seppe rinnovare il tessuto sociale e culturale del tempo.
Queste donne furono madri spirituali, capaci di generare vita, non biologica, ma di spirito, di
pensiero, di cultura. La mostra quindi intende approfondire tutti i risvolti connessi a questa
maternità spirituale. Le sante di cui si parla sono: Vincenza Gerosa, Annunciata Cocchetti, Teresa
Eustochio Verzeri, Caterina Cittadini, Bartolomea Capitanio, Maria Crocifissa di Rosa, Vittoria
Razzetti, Elisabetta e Maddalena Girelli, Geltrude Comensoli, Elisa Baldo, Lucia Ripamonti,
Gianna Beretta Molla, Angela Merici.
A condurre la presentazione della mostra saranno gli studenti del Liceo classico Arici che hanno
svolto il loro PCTO in Archivio e presso la Biblioteca diocesana.
La mostra si colloca anche nel contesto delle Giornate per la valorizzazione del patrimonio
culturale ecclesiastico 2023.
Per chi fosse interessato, prima dell’inaugurazione, è possibile partecipare ad una visita guidata
gratuita al Palazzo vescovile appena restaurato. Ritrovo alle 16 davanti al cortile della Curia. Per la
visita bisogna prenotarsi in Curia, telefonando allo 030 3722226 oppure inviando una mail a
logisticaeventi@diocesi.brescia.it
Per la mostra (visitabile dall’11 al 21 maggio in orario di apertura dell’Archivio 9-12.30) non è
necessaria la prenotazione.
Info sulla mostra: tel. 030 3722312, mail archivio.segreteria@diocesi.brescia.it
Archivio Storico Diocesano, via Gabriele Rosa, 30 – 25121 Brescia

Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa, vergini

Le due sante sono nate a Lovere e hanno fondato l’Istituto di Maria Bambina. Bartolomea (1807-1833) fu l’anima della nuova istituzione; Vincenza (1784-1847) colei che con tenacia la seppe continuare fino alla definitiva approvazione pontifìcia del 1840, con la bolla Multa inter pia. Accanto a queste due sante, animatore, guida spirituale, saggio propulsore fu il presbitero Angelo Bosio. La Congregazione, a partire dalla diocesi di Brescia, ebbe mirabile diffusione in tutta la Chiesa e acquistò subito larga benemerenza pure nel settore delle missioni. Beatificate la Capitanio il 30 maggio 1929 e la Gerosa il 7 maggio 1933, furono insieme canonizzate il 18 maggio 1950. I loro corpi sono venerati nell’omonimo Santuario a Lovere.

Dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

SECONDA LETTURA

Dall’«Omelia nella canonizzazione delle Sante Bartolomea Capitanio e Vincenza Gerosa», di Pio XII, papa (18 maggio 1950, AAS 32 [1950], pp. 418-421)

Nulla di più bello del candido splendore della verginità

In questa terra d’esilio non vi è assolutamente nulla di più bello, di più amabile del candido splendore della verginità, che traluce dal volto, dagli occhi, dall’animo; tutti coloro che lo contemplano si sentono da esso trascinati e spinti alle cose celesti. Se poi a questo splendore di intemerata purezza s’unisce la fiamma della divina carità, allora s’apre davanti agli uomini uno spettacolo che fortemente commuove le loro anime, conquide le loro volontà e li sprona a compiere quelle nobili imprese, quali solo la virtù cristiana può condurre a effetto. Bartolomea Maria Capitanio ebbe da natura un’indole perspicace, vivace e ardente; ma essa, fin dai più teneri anni, con la grazia di Dio che sempre implorava con fervida orazione, seppe domarla, temperarla, piegarla così da indirizzarla unicamente al cielo, all’acquisto della cristiana perfezione e all’adempimento del divino volere in ogni cosa. E così ornata di virtù, specialmente della verginale purezza, d’amore ardente per la pietà, e d’intensa carità verso Dio e verso il prossimo, comprese d’essere chiamata da divina vocazione, non solo a procurare, con la grazia di Dio, la propria salvezza, ma, per quanto le era possibile, anche a curare col consiglio e colle opere quella degli altri. Con questo intento incominciò a pensare alla fondazione di un istituto di sacre vergini, la cui missione fosse la buona educazione delle fanciulle, la cura delle miserie spirituali e corporali degli infermi negli ospedali, il prestare rifugio ai vecchi bisognosi, ospitalità ai derelitti, lenire e alleviare tutti i miseri e gli afflitti. Ma come sarebbe stato possibile a questa semplice fanciulla, priva di quasi tutte le umane risorse, attuare felicemente un disegno così grande e così difficile? Riconosceva essa di essere incapace; tuttavia poteva fare suo il detto dell’Apostolo delle genti: «Tutto posso in colui che è la mia forza» (Fil 4, 13) e di fatto essa non faceva assegnamento sulle proprie energie, sulla sua volontà, ma confidava unicamente in Dio e nel suo aiuto celeste. D’altra parte, che cosa c’è che la fede incrollabile, la cristiana virtù non possa tentare coll’aiuto di Dio? Nulla, come tutta la storia della religione cattolica c’insegna, come ci dimostra la meravigliosa vita dei santi e delle sante. Pertanto Bartolomea Capitanio, dietro il consiglio del direttore di coscienza e l’ispirazione della divina grazia, con poche fanciulle e con buoni auspici, gettò le basi del suo Istituto. Ma era stabilito nei divini decreti che, ancora nel fiore dell’età, quasi candido giglio, venisse recisa dal suo Sposo divino e chiamata a ricevere il premio della eterna felicità.
In questo triste momento sembrò che l’Istituto da lei fondato e che ancora come tenero arboscello non aveva messo radici, fosse destinato a scomparire; ma esso non era opera d’uomini, ma del volere di Dio e perciò non poteva perire. Ci fu un’altra vergine, non meno ricca di doti di spirito, soprattutto di candida innocenza, di cristiana semplicità, di fede incrollabile, di fortezza invincibile, d’ardente carità. Caterina Vincenza Gerosa, dopo che con grande dolore e calde lacrime pianse la indimenticabile compagna di fatica, strappata ai vivi, si gettò davanti al tabernacolo eucaristico per aprirvi allo Sposo celeste, che ardentemente amava, il suo animo incerto, trepidante, ansioso e con umili preghiere ne impetrò lume, consiglio, sollievo, forza. Ben sapeva che da sola non avrebbe saputo far nulla, ma sapeva anche che tutto avrebbe potuto appoggiata alla forza di Colui che «elesse i deboli di questo mondo per confondere i forti» (1Cor 1, 17). E allora colla mente illuminata da Dio, colla volontà rinvigorita dalla forza soprannaturale, dopo che conobbe dal direttore spirituale essere lei destinata alla grande opera iniziata, la prese su di sé con gagliardia per condurla a termine e dirigerla. Così coll’aiuto di Dio, quella pianticella, che aveva ricevuto per irrigarla e sostenerla, sotto la guida di lei, crebbe alta e frondosa e diede copiosi frutti. Riguardi ella dal cielo, insieme colla sua prima compagna di lavoro, che per umiltà soleva chiamarla la madre; tutte e due, redimite di novello splendore, riguardino benigne il religioso Istituto da esse fondato; chiedano a Dio col loro validissimo patrocinio, che tutte le loro figlie, alle quali lasciarono quasi sacra eredità un identico compito di evangelica perfezione, sappiano imitarne gli splendidi esempi col cuore e colla volontà e si sforzino in ogni maniera affinché quanti sono affidati alle loro cure seguano con generosità e con ardore le loro santissime orme.

Responsorio

℞. Entrano con gioia le vergini alla festa di nozze. * Hanno ricevuto dal Signore una splendida corona, alleluia.
℣. Non sarà loro tolto l’onore della verginità, non saranno più separate dall’amore del Figlio di Dio. * Hanno ricevuto dal Signore una splendida corona, alleluia.

Lodi mattutine

Ant. al Ben. Religione pura e senza macchia davanti a Dio è questa:
soccorrere gli orfani e le vedove nelle loro afflizioni
e conservarsi puri da questo mondo, alleluia.

Orazione

Padre misericordioso, che nelle sante vergini Bartolomea [Capitanio] e Vincenza [Gerosa] ci doni un luminoso esempio di amore al vangelo e ai fratelli, concedi anche a noi di cercare te sopra ogni cosa e di dedicarci con generosità al servizio del tuo popolo. Per il nostro Signore.

Vespri

 Ant. al Magn. La donna che teme Dio merita lode,
le sue stesse opere ne proclamano la santità nella Chiesa di Dio, alleluia.


Santa Teresa Eustochio Verzeri, vergine

Nacque a Bergamo il 31 luglio 1801. Ancora giovane cercò la vita religiosa, prima quella claustrale, poi quella apostolica, su consiglio del padre spirituale. Sotto la sua guida diede inizio a un Istituto religioso, che intitolò “del Sacro Cuore di Gesù” e lo dotò di sante direttive, perché permanesse nella perfetta carità. Visse una vita da donna forte, piena di opere di carità e caratterizzata da profonda spiritualità. Promosse la vitalità e la diffusione del proprio Istituto, che diresse fino alla morte. Morì a Brescia il 3 marzo 1852. È stata beatificata il 27 ottobre 1946 e canonizzata il 10 giugno 2001. Il suo corpo è venerato nell’Istituto delle Figlie del Sacro Cuore a Bergamo.

Dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dagli «Scritti» di santa Teresa Eustochio Verzeri, vergine (Lettera 58 del 9 dicembre 1841, in D. Barsotti, Magistero di Santi, Roma, 1971, pp. 111-113)

La conoscenza di Dio nella fede è grande ma oscura

Io non ho concetto o sentimento preciso di Dio, ma una certa cognizione dell’impotenza nostra a conoscere Dio, con un’idea di Dio così astratta, oscura, impercettibile, che per nessun modo so esprimere; e questo mi fa respingere qualunque idea si dà di Dio precisa e formale. Quanto dico di Dio, provo pure riguardo alle cose di Dio: io non posso vedere né il bene, né il male con quella facilità che altri li vedono, ma resto sospesa nel mio giudizio, dicendo in cuor mio: chi sa come sarà dinanzi a Dio! In tutto ciò che vedo e conosco, non so vedere veramente Dio, ma una piccolissima emanazione delle perfezioni di lui adattate alla pochezza nostra; e, sentendo dire che, allorché si vedrà Dio, sarà tutt’altra cosa di ciò che si immagina, io dico in me stessa: per me non accadrà così, perché non so concepire Dio in modo alcuno, e il giorno che lo vedrò mi giungerà tutto nuovo, come me lo aspetto.
Da una tale impossibilità di formarmi un’idea di Dio mi viene la difficoltà che provo ad adattarmi al modo comune con cui si considera Dio e si parla delle cose di Dio. Non penso che in altri ci sia mancanza di luce (se non in certi casi, nei quali mi pare si possa parlare assolutamente di mancanza di ragione), ma mi sembra che si sforzino di esprimere quanto esprimere non si può. Oppure può darsi che, avendo essi più vivi che non io i sentimenti di fede e di religione, riesca loro più facile camminare in semplicità e conformemente esprimersi. E sentendomi dire da qualcuno che Dio mi dà di se stesso una cognizione non ordinaria, e che all’ordinaria non so adattarmi perché più imperfetta, sembra che ciò mi soddisfi e nel mio intimo mi consolo, ma non so persuadermene, sicché talvolta rimango nel timore di aver ingannato e di essermi ingannata. Per metodo non faccio confronti né riflessioni, ma procuro di confortarmi secondo che mi prescrive l’obbedienza. Il modo d’esprimersi della Scrittura santa mi soddisfa assai e mi conferma nel mio sentimento; vi trovo una certa corrispondenza con quello che sento in me, che mi appaga lo spirito e mi contenta l’anima desiderosa di verità.
Sebbene però legga con gusto e soddisfazione, riconosco di non capire niente e come prima rimango all’oscuro circa l’Essere di Dio, i Misteri della vita di Gesù Cristo, tuttavia stimo e venero più sentitamente quanto non so conoscere, proprio perché non lo so conoscere; e mi si raddoppia l’impegno e la lena di conoscere, amare e servire un Dio all’uomo impercettibile, perché infinitamente superiore.
Quest’idea oscura ma grande che ho di Dio, mentre non ne ho nessuna, penso sia la causa di avvilire agli occhi miei tutto ciò che di bello e di buono è ammirato dagli altri. In Roma mi facevano osservare cose belle e magnifiche; eppure io le giudicavo di poco conto e mi stupivo di vederle così stimate, come se non ve ne fossero di migliori. E dicevo tra me, quando avevo l’animo sollevato: Oh qual confronto con il Paradiso. Se poi mi trovavo con l’animo depresso, restavo stupita e bramosa di un altro bello migliore; e se qualche piacere provavo, era tutto esteriore.

Responsorio – 1Cor 7, 29.30.31; 2, 12

℞. II tempo si è fatto breve; d’ora innanzi quelli che gioiscono come se non gioissero; quelli che usano i ben del mondo, come se non li usassero pienamente: * passa infatti la figura di questo mondo.
℣. Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo;
℞. passa infatti la figura di questo mondo.

Lodi mattutine

Ant. al Ben. Hai partecipato alle sofferenze di Cristo, hai preparato la tua lampada;
all’arrivo del Signore sei entrata con lui alle nozze.

Orazione

O Dio, che alla santa vergine Teresa Eustochio [Verzeri], hai fatto attingere dal cuore del tuo Figlio lo spirito di amore lungo il cammino della fede e dell’obbedienza al tuo volere, per i suoi meriti e la sua intercessione, donaci di ricercare sempre la perfezione della carità. Per il nostro Signore.

Vespri

Ant. al Magn. Hai dato il tuo cuore a Cristo, vergine sapiente:
ora vivi con lui, splendente come il sole nell’assemblea dei santi.

Orazione come alle Lodi mattutine.

Santa Maria Troncatti, vergine

Nacque a Corteno Golgi il 16 febbraio 1883. L’ideale missionario la conquistò fin dall’adolescenza e la sostenne nella maturazione della vocazione religiosa. Emessa la professione nell’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice nel 1908, dopo alcuni anni in Italia, nel 1922 partì per l’Ecuador, da dove – per libera rinuncia – non fece più ritorno in patria. Nella selva, curando le malattie, evangelizzava ed era la «madrecita buena» («mammina buona») per tutti: il popolo Shuar e i coloni. Annunciò e testimoniò a tutti l’amore del Padre e la protezione di Maria Ausiliatrice. Morì a Sucúa il 25 agosto 1969 nella tragica caduta del piccolo aereo sul quale viaggiava. È stata beatificata a Mendez (Ecuador) il 24 novembre 2012. Il suo corpo è venerato a Macas (Ecuador).

Dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

SECONDA LETTURA

Dalla Lettera enciclica Redemptoris Missio di san Giovanni Paolo II, papa (AAS 83 [1991], pp. 289. 317-318. 335)

Vivere il mistero di Cristo come testimonianza di maternità spirituale

Il missionario, che, pur con tutti i limiti e difetti umani, vive con semplicità secondo il modello di Cristo, è un segno di Dio e delle realtà trascendenti. Ma tutti nella Chiesa, sforzandosi di imitare il divino Maestro, possono e debbono dare tale testimonianza, che in molti casi è l’unico modo possibile di essere missionari. La testimonianza evangelica, a cui il mondo è più sensibile, è quella dell’attenzione per le persone e della carità verso i poveri e i piccoli, verso chi soffre. La gratuità di questo atteggiamento e di queste azioni, che contrastano profondamente con l’egoismo presente nell’uomo, fa nascere precise domande che orientano a Dio e al Vangelo. Anche l’impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell’uomo, la promozione umana è una testimonianza del Vangelo, se è segno di attenzione per le persone ed è ordinato allo sviluppo integrale dell’uomo.
La Chiesa deve far conoscere i grandi valori evangelici di cui è portatrice, e nessuno li testimonia più efficacemente di chi fa professione di vita consacrata nella castità, povertà e obbedienza, in totale donazione a Dio e in piena disponibilità a servire l’uomo e la società sull’esempio di Cristo. Nelle religiose missionarie la verginità per il regno si traduce in molteplici frutti di maternità secondo lo Spirito: proprio la missione ad gentes offre loro un campo vastissimo per «donarsi con amore in modo totale e indiviso». L’esempio e l’operosità della donna vergine, consacrata alla carità verso Dio e verso il prossimo, specie il più povero, sono indispensabili come segno evangelico presso quei popoli e culture in cui la donna deve ancora compiere un lungo cammino in ordine alla sua promozione umana e liberazione.
Nota essenziale della spiritualità missionaria è la comunione intima con Cristo: non si può comprendere e vivere la missione, se non riferendosi a Cristo come l’inviato a evangelizzare. Paolo ne descrive gli atteggiamenti: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù: egli, pur essendo nella condizione di Dio, non ritenne un privilegio l’essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo, diventando simile agli uomini. Dall’aspetto riconosciuto come uomo, umiliò se stesso facendosi obbediente fino alla morte e a una morte di croce» (Fil 2, 5). È qui descritto il mistero dell’incarnazione e della redenzione, come spoliazione totale di sé, che porta Cristo a vivere in pieno la condizione umana e ad aderire fino in fondo al disegno del Padre. Si tratta di un annientamento, che però è permeato di amore ed esprime l’amore. La missione percorre questa stessa via e ha il suo punto di arrivo ai piedi della croce. Al missionario è chiesto «di rinunziare a se stesso e a tutto quello che in precedenza possedeva in proprio e a farsi tutto a tutti»: nella povertà che lo rende libero per il Vangelo, nel distacco da persone e beni del proprio ambiente per farsi fratello di coloro ai quali è mandato, onde portare a essi il Cristo salvatore. È a questo che è finalizzata la spiritualità del missionario: «Mi sono fatto debole per i deboli; mi sono fatto tutto per tutti, per salvare a ogni costo qualcuno. Tutto io faccio per il Vangelo» (1Cor 9, 22). Proprio perché «inviato», il missionario sperimenta la presenza confortatrice di Cristo, che lo accompagna in ogni momento della sua vita «Non aver paura, perché io sono con te» (At 18, 9) e lo aspetta nel cuore di ogni uomo.

Responsorio – 1 Cor 7, 34; Sal 72 (73), 26

℞. La roccia del mio cuore è Dio, è Dio la mia sorte per sempre: * fuori di lui, nulla desidero sulla terra.
℣. Una vergine si preoccupa delle cose del Signore, per essere santa nel corpo e nello spirito:
℞. fuori di lui, nulla desidero sulla terra.

Orazione

Padre misericordioso, che, per opera dello Spirito Santo hai suscitato nella beata Maria [Troncatti], vergine, una materna carità nell’annunziare Cristo ai popoli, concedi a noi, per sua intercessione, di essere strumenti di riconciliazione e di pace, affinché tutti magnifichino il tuo santo nome. Per il nostro Signore.


Santa Maria Crocifissa Di Rosa, vergine

Nata a Brescia il 6 novembre 1813, iniziò la formazione, improntata a forti principi cristiani, nella sua nobile famiglia e la proseguì nel monastero della Visitazione. Si dedicò all’apostolato religioso-sociale tra le operaie della filanda paterna. Fece rifulgere la sua cristiana dedizione nell’assistenza ai colerosi nel 1836. Sapientemente e fermamente guidata dal sacerdote Faustino Pinzoni (arciprete della Cattedrale), diede mano, attorno al 1840, alla formazione dell’Istituto delle Ancelle della Carità che, dopo l’approvazione pontificia (l’ultima e definitiva nel 1851), ebbe rapida diffusione. Seppe armonizzare un’intensa attività apostolica con un’eccezionale vita interiore, arricchita da doni di esperienza mistica. L’Eucaristia, la Vergine Immacolata e Addolorata caratterizzarono la sua pietà. Morì il 15 dicembre 1855, fu beatificata il 26 maggio 1940 e venne canonizzata il 12 giugno 1954. Il suo corpo è venerato nella chiesa delle Ancelle della Carità a Brescia.

Dal Comune delle vergini.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dal «Discorso per la canonizzazione», di papa Pio XII (12 giugno 1954, AAS 46 [1954], pp. 358-362)

La vita spirituale e l’azione apostolica della santa

Se le forze del male non cessano, nel volger dei secoli, i loro attacchi contro l’opera del divin Redentore, Iddio non manca di rispondere alle angosciose suppliche dei suoi figli in pericolo, suscitando anime ricche di doni della natura e della grazia, che siano per i loro fratelli di conforto e di aiuto. Quando si affievolisce nella coscienza degli uomini la cognizione delle verità salutari, oscurate dagli allettamenti dei beni terreni, quando lo spirito di rivolta e di orgoglio suscita contro la Chiesa persecuzioni subdole e violente, in mezzo alle miserie, sempre presenti, delle anime e dei corpi, la divina provvidenza chiama sotto il vessillo della Croce di Cristo eroi di santità, irradianti splendori di purezza verginale e di carità fraterna, per sovvenire a tutte le necessità delle anime e mantenere nella sua integrità il fervore delle virtù cristiane.
La vita di colei che la Chiesa oggi glorifica è tutta compresa nelle parole del salmista: Angustia et tribulatio venerunt super me, mandata tuam deliciæ meæ sunt (Ps 118, 143). Vergine insigne per amore alla Croce, Maria Crocifissa di Rosa, di famiglia patrizia bresciana, canta gli splendori dello Sposo divino. Era appena piamente spirata la sua madre terrena, che, a imitazione di santa Teresa di Gesù, ella si rifugia nelle braccia della Madre celeste. Alla scuola delle Religiose della Visitazione, approfondisce sempre più la sua solida pietà, animata da un desiderio intenso di soffrire per Gesù Cristo e di esercitarsi in una incessante pratica della mortificazione e della carità. Ella rinuncia a ogni vanità, a ogni esigenza della moda, a ogni spettacolo mondano, a ogni indulgenza verso la natura, a ogni offerta di nozze terrene; si occupa delle ragazze e delle donne del popolo, sopporta pazientemente le critiche, specialmente dei libertini delusi, e si compiace di distribuire ai bisognosi i beni di cui dispone. Quando nel 1836 il colera imperversò su Brescia, ella diede libero corso alla sua eroica abnegazione nel servizio dei colerosi e attrasse anche altre sue coetanee al medesimo arduo e pericoloso ufficio. Sostenuta dalla sollecitudine del suo direttore spirituale, la nostra santa, cessato il flagello, continuò nell’ospedale femminile di Brescia a dedicarsi all’assistenza delle malate e abbandonate, e ben presto la pia collaborazione di queste anime generose si trasformò in opera stabile: le Ancelle della Carità prenderanno ormai a loro intero carico il servizio di sanità dell’ospedale di Brescia e ben presto anche altre benefiche attività.
Superato gli ostacoli che avevano attraversato l’opera nascente, la soavissima e instancabile apostola vide nelle disposizioni della Provvidenza la conferma del cielo ai suoi sforzi; ma supplicava che le croci non cessassero e le persecuzioni e le prove non le fossero risparmiate. E infatti, pur manifestando nella sua azione di fondatrice le più belle qualità di intelligenza e di volere, ella soffrirà con grande coraggio i dolori fisici e soprattutto le angosce dell’anima, le tenebre indicibili con le quali lo scatenato spirito del male si sforza, ma invano, di far presa su di lei. Una ardente preghiera sgorgava allora dalle sue labbra: «Gesù mio! Tu solo mi basti. La mia vita sia crocifissa con te!». In tal guisa, dalla profondità di una vita spirituale tutta conforme alla Croce, scaturì un’opera originale e completa, che abbraccia tutte le forme di ospitalità e di assistenza e prospera in eminenti frutti di carità e di virtù. Tali sono, appena adombrate, le eroiche azioni di colei che lo Spirito Santo ha plasmato per la continuazione dell’opera di Cristo. Si degni santa Maria Crocifissa di ottenere a tutti coloro che esultano per la sua gloria, la grazia di seguire le sue orme e di bruciare come lei di amore per Gesù.

Responsorio

℞. Contempliamo la tua bellezza, vergine di Cristo: * hai ricevuto dal Signore una splendida corona.
℣. Hai preso la tua croce, o santa Maria Crocifissa, hai imitato Cristo tuo sposo.
℟. Hai ricevuto dal Signore una splendida corona.

Lodi mattutine

Ant. al Ben. Non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo,
per mezzo del quale il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo.

Orazione

O Dio, che con l’opera di santa Maria Crocifissa [di Rosa] hai fatto risplendere nella tua Chiesa il servizio dei poveri e dei sofferenti, fa’ che, sul suo esempio, dedichiamo la nostra vita a servizio del prossimo, per essere da te benedetti nel regno dei cieli. Per il nostro Signore.

Vespri

Ant. al Magn. La carità tutto copre,
tutto crede, tutto spera, tutto sopporta.

Orazione come alle Lodi mattutine.

Santa Giulia, vergine e martire

Le fonti storiche affidabili sono riferibili soltanto al peregrinare delle reliquie della martire che giunsero nel 763 al Monastero delle Benedettine di San Salvatore (detto poi di Santa Giulia). Per un millennio tale monastero ebbe un’importanza grandissima nel Bresciano. Esso ebbe privilegi amplissimi, anche giurisdizionali, e svolse un ruolo non indifferente nel ridefinire la Chiesa bresciana all’inizio dei tempi moderni. Dopo la soppressione del monastero nel 1797, le reliquie, dopo varie peregrinazioni, giunsero nella chiesa del Corpo di Cristo, annessa al Seminario. Dal 24 maggio 1969 le reliquie sono venerate nella chiesa di S. Giulia (Villaggio Prealpino).

Dal Comune dei martiri: per una vergine martire o dal Comune delle vergini, con salmodia del giorno dal salterio.

Ufficio delle letture

Seconda lettura

Dal commento alla Lettera ai Galati di san Tommaso d’Aquino, presbitero (Lezione 4: sul cap. 6 vss. 14-15; Taurini – Romae 1953, I, 647-648)

Ogni vanto sia nella croce del Signore

Dice san Paolo: «Quanto a me non ci sia altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo» (Gal 6,14). Dove il sapiente di questo mondo ha creduto di trovare il disonore, l’Apostolo scopre un tesoro, nota sant’Agostino; ciò che all’altro è apparso follia, è diventato per lui sapienza e titolo di gloria. Ognuno infatti si gloria di ciò che lo rende grande ai propri occhi. Chi crede di essere un grand’uomo perché è ricco, si vanta dei propri beni. Chi vede la propria grandezza soltanto in Gesù Cristo, mette la propria gloria soltanto in Gesù. Così faceva l’Apostolo: «Non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me» diceva (Gal 2, 20). Egli si gloria soltanto in Cristo, e soprattutto nella croce di Cristo, poiché in essa sono racchiusi tutti i possibili motivi di gloria.
Ci sono persone che si vantano nell’amicizia dei grandi e dei potenti: Paolo ha bisogno soltanto della croce di Cristo, per scoprirvi il segno più evidente dell’amicizia di Dio. Ma Dio dimostra il suo amore per noi, perché «mentre eravamo ancora peccatori Cristo è morto per noi» (Rm 5, 8). Non c’è nulla che manifesti l’amore di Dio per noi più della morte di Cristo. «O testimonianza inestimabile dell’amore! – esclama san Gregorio – per riscattare lo schiavo hai abbandonato il Figlio».
Altri si vantano della propria sapienza: l’Apostolo trova la scienza suprema nella croce. Dice: «Io ritenni infatti di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e questi crocifisso» (1Cor 2, 2). La croce non è forse il compimento di tutta la legge, e di ogni buona norma di vita? A chi si vanta della propria potenza, l’apostolo può rispondere che egli trae dalla croce una potenza ineguagliabile: «La parola della croce infatti è stoltezza per quelli che vanno in perdizione, ma per quelli che si salvano, per noi, è potenza di Dio» (1Cor 1, 18).
Altri ancora si gloriano della libertà acquistata. È dalla croce che Paolo deriva la propria: «Il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché noi fossimo più schiavi del peccato» (Col 1, 20). Né manca chi si vanta di essere stato cooptato in una grande società. Ora per la croce di Cristo si è chiamati a far parte della società celeste: «rappacificando con il sangue della sua croce, cioè per mezzo di lui, le cose che stanno sulla terra e quelle nei cieli» (Col 1, 20).
C’è chi si gloria infine delle insegne del trionfo accordate ai vittoriosi: la croce è lo stendardo trionfale della vittoria di Cristo sui demoni: ha «privato della loro forza i principati e le potestà e ne ha fatto pubblico spettacolo dietro il corteo trionfale di Cristo» (Col 2, 15); «è benedetto il legno su cui si compie un’opera giusta» (Sap 14, 7).
Di che cosa vuole soprattutto gloriarsi l’Apostolo? Di ciò che ha valore ed efficacia per unirlo a Cristo. Ciò che desidera è essere unito a Cristo.

Responsorio – Cfr. Gal 6,14; 2 Cor 12,9; 1Pt 2,25; Col 1,24

℞. Il mondo per me è stato crocifisso, come io per il mondo; mi vanterò quindi ben volentieri delle mie debolezze, * perché dimori in me la potenza di Cristo, dalle cui piaghe siamo stati guariti. (T.P. Alleluia).
℣. Completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa,
℞. perché dimori in me la potenza di Cristo, dalle cui piaghe siamo stati guariti. (T.P. Alleluia).

Lodi mattutine

Ant. al Ben. Celebriamo la nascita al cielo della vergine Giulia,
intrepida serva di Cristo, (T.P. Alleluia).

Orazione

O Dio, per far risplendere la tua Chiesa hai dato a santa Giulia la corona del martirio: concedi a noi di seguire le sue orme e di imitare come lei la passione del Signore, per giungere alla gioia eterna. Per il nostro Signore.

Vespri

Ant. al Magn. Preziosa agli occhi del Signore
è la morte dei suoi fedeli, (T.P. Alleluia).